Su «interessi e canoni» estensione alle società beneficiarie a forte rischio
Le recenti conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue nell’ambito dei casi danesi (si veda il Quotidiano del Fisco del 3 marzo ) non si limitano alla nozione di beneficiario effettivo e alla sua declinazione nei casi di specie. Una loro attenta lettura rivela interessanti spunti di portata generale, tali da trascendere il merito delle singole questioni esaminate. È questo il caso del paragrafo 93 delle conclusioni relative al caso C-118/16 – X Denmark A/S, dove l’avvocato generale Kokott, con riferimento alla direttiva “interessi e canoni”, rileva come da nessuna disposizione della direttiva 2003/49 emerge che l’esenzione sia subordinata ad una tassazione effettiva del beneficiario effettivo … per un determinato importo. I corrispondenti sforzi di modifica della Commissione, consistenti nell’abbinare l’esenzione fiscale non solo ad un assoggettamento della società all’imposta sulle società, bensì ad una tassazione «effettiva» dei redditi provenienti da interessi e canoni, non sono stati finora messi in pratica.
Effettivamente, nel testo della direttiva la società di uno Stato membro è definita in base all’assoggettamento ad una delle imposte elencate dalla norma. Si tratta di una condizione meramente soggettiva, del tutto compatibile con eventuali agevolazioni di carattere oggettivo, ancorché le stesse possano interessare proprio i redditi cui si applica la direttiva. Tra l’altro, non si tratta di una soggettività meramente potenziale, in quanto la dottrina da tempo sostiene – e il caso Wereldhave (C-448-15) ha confermato, con riguardo alla direttiva madre/figlia – che il beneficiario non possa godere di agevolazioni soggettive che azzerino il reddito imponibile, rendendo quindi l’imposizione meramente teorica.
Diverso e ben più stringente è invece il requisito del «subject to tax»; una tassazione non soltanto attuale, ma altresì oggettiva: sugli interessi e sui canoni, per cui si richiede l’esenzione da tassazione alla fonte. L’articolo 1(5)(b) della direttiva – tuttavia – prevede tale requisito non per le società, ma per le sole stabili organizzazioni; queste sono infatti considerate beneficiarie effettive (quindi meritevoli dell’esenzione), soltanto “nella misura in cui i pagamenti di interessi o di canoni rappresentano redditi per i quali essa è assoggettata nello Stato membro in cui è situata ad una delle imposte” considerate.
I tentativi della Commissione, cui l’avvocato generale fa riferimento, erano due proposte di direttiva. La Com(2003) 841 mirava a subordinare l’esenzione da tassazione alla fonte in uno Stato membro, alla “condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o dei canoni … sia effettivamente sottoposto ad imposizione sui pagamenti di interessi o canoni … [nell’] altro Stato membro”. Tale proposta fu ritirata nel 2010, in quanto la Commissione aveva deciso di trasfonderne gli elementi caratterizzanti (in primis la condizione di tassazione effettiva) nella nuova proposta Com(2011) 714, di rifusione dell’intera direttiva interessi e canoni; proposta rimasta tale.
Nel nostro Paese, invece, i tentativi della Commissione hanno avuto immediato successo. La norma interna di recepimento della direttiva interessi e canoni è l’articolo 26-quater del dpr 600/1973, il cui comma 4, lettera b) richiede che «gli interessi e i canoni pagati alle società non residenti di cui alla lettera a) sono assoggettati ad una delle imposte elencate nell’allegato B».
Secondo la relazione, tale norma richiede la tassazione effettiva degli interessi e dei canoni, già prevista per le stabili organizzazioni, anche nei confronti delle società beneficiarie di tali redditi. Questo criterio era stato inserito, «pur non essendo attualmente previsto dalla direttiva», in quanto si era reputato che lo stesso rispondesse alla finalità perseguita dalla direttiva: eliminare la doppia imposizione sui pagamenti transfrontalieri di interessi e canoni, assicurando contestualmente che gli stessi redditi siano comunque assoggettati ad imposizione fiscale nello Stato di residenza del soggetto percettore.
In base a quali considerazioni il legislatore del recepimento aveva ritenuto di poter inserire il requisito della tassazione attuale e oggettiva, sugli interessi e sui canoni che si sarebbero voluti esentare da ritenuta? Un requisito ulteriore: per sua stessa ammissione «non … attualmente previsto dalla direttiva».
Un po’ di archeologia tributaria è utile a chiarire i retroscena della questione. L’articolo 26-quater è stato inserito dal Dlgs 30 maggio 2005, n. 143, che attuava la direttiva interessi e canoni con 17 mesi di ritardo rispetto alla scadenza del 1° gennaio 2004. In realtà, la bozza del testo (identica) era disponibile già dal 2004, corredata da una relazione quasi del tutto identica a quella definitiva. Dalla bozza al definitivo della relazione, era stato eliminato un passaggio che spiegava come l’inserimento della clausola “subject to tax” fosse stato avvalorato dalla circostanza che la proposta di modifica alla direttiva contenesse una disposizione volta a stabilire che il beneficiario degli interessi e dei canoni deve essere sottoposto ad imposizione, nel Paese di residenza, sui pagamenti degli interessi e dei canoni stessi.
In pratica: il legislatore del recepimento si era portato avanti, attuando in Italia non già il testo allora (e tuttora) vigente della direttiva 2003/49/Ce, ma il testo che tale direttiva avrebbe – di lì a poco tempo (si pensava) – presentato, una volta modificata dalla proposta Com(2003) 841. Senonché, non avendo tale proposta (come la successiva proposta di rifusione) avuto alcun seguito normativo, la norma italiana ne risulta scoperta. Anche prima che lo rilevasse l’avvocato generale, già la Commissione nel rapporto Com(2009) 179 aveva riconosciuto come nella direttiva allora mancasse – e manca tuttora – qualsiasi appiglio giustificativo della posizione di alcuni Stati membri, i quali esigevano che lo specifico pagamento d’interessi o canoni fosse assoggettato ad imposta in base ad un criterio oggettivo.
La direttiva 2003/49/Ce richiede la tassazione effettiva degli interessi e dei canoni per le sole stabili organizzazioni; la norma italiana di recepimento, invece, estende tale requisito anche alle società beneficiarie di tali redditi. Per espressa ammissione del legislatore del recepimento, si tratta di un requisito «non … previsto dalla direttiva»; con buona pace di un «attualmente», che i quindici anni intercorsi ben potrebbero ormai trasformare in «definitivamente».
La norma italiana di recepimento è quindi ultronea rispetto a quanto richiesto dalla direttiva. Quest’ultima, come ha rilevato l’avvocato generale, non presenta alcuna disposizione che subordini l’esenzione alla tassazione effettiva del beneficiario nel paese di residenza, sugli interessi e sui canoni per cui si richiede l’esenzione alla fonte. Ragionando de iure condendo, forse dovrebbe: sarebbe coerente con il terzo considerando, ove auspica che «i pagamenti di interessi e di canoni siano assoggettati ad imposizione fiscale una sola volta in uno Stato membro»; in un’ottica de iure condito, però, l’assenza del requisito nel testo della direttiva non può essere ignorata sulla base del solo considerando. A meno che la Corte di giustizia Ue non decida altrimenti, ne potrebbe conseguire una censurabilità del requisito “subject to tax” oggettivo (che la direttiva prevede per le sole stabili organizzazioni), nella misura in cui il legislatore del recepimento lo ha reso applicabile anche alle società.