Diritto

Udienze tributarie, lo spettro dell’abuso dietro le istanze di rinvio a causa del Covid-19

La Ctp di Reggio Emilia si è rifiutata di concedere un ulteriore differimento ritenendo pretestuosa la richiesta

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Se la richiesta di rinvio dell’udienza motivata in base alle previsioni introdotte per l’emergenza covid ha finalità dilatorie il giudice la respinge configurandosi un abuso del processo da parte del difensore. A precisarlo è la Ctp Reggio Emilia con la sentenza n. 223/02/20 che non ha inteso rinviare l’udienza a norma dell’articolo 27 del Dl 137/2020.

Nella specie, da quanto è possibile evincere dal testo della pronuncia, si trattava effettivamente di una ulteriore richiesta di differimento da parte del contribuente che non depositava alcuni documenti fondamentali ai fini della decisione. Da qui la scelta del collegio di non accordare più alcun rinvio, nonostante la previsione normativa, ritenendo la richiesta «strumentale» per meri fini dilatori, configurando una condotta di abuso del processo. Vi è da sperare che, in assenza di altri rinvii e dell’asserito intento dilatorio, il collegio sarebbe giunto a decisioni differenti.

A proposito di rinvii, in questi ultimi giorni molte commissioni sembrano trascurare quanto previsto dal Consiglio di presidenza e cioè che in presenza di determinate circostanze che suggeriscano la presenza fisica delle parti (importi rilevanti, richieste di inammissibilità ecc.) l’udienza possa essere rinviata su istanza. Sotto questo profilo si registra una totale difformità: ci sono commissioni che a fronte delle istanze comunicano preventivamente il rinvio, altre che attendono l’udienza per disporre un nuovo ruolo, altre ancora che non informano neanche dopo l’udienza, lasciando l’interessato in attesa dell’auspicato rinvio ovvero, ove non sia stato accordato, della decisione.

Il tutto dimenticando che dietro a una causa ci sono persone (i contribuenti) che pretendono (giustamente) di essere aggiornati dal proprio professionista su questioni delicate che li riguardano personalmente. Il difensore, in questa situazione, non è in grado di dare notizie né sullo svolgimento del procedimento né sul rinvio.

Singolare poi che alcune commissioni, per non accordare le richieste di rinvio, evochino la necessità di non allungare i tempi di causa, salvo poi a scoprire che in quelle medesime commissioni alcuni giudici impiegano mesi, talvolta anche anni, prima di depositare le sentenze. Eppure, le norme prevedono 30 giorni o al massimo 60, ma, si sa, i termini sono perentori solo per il contribuente.

Del resto (si veda il Sole 24 Ore di ieri) non si riesce a comprendere perché soltanto alcune commissioni siano in grado di svolgere le udienze da remoto, nonostante le dotazioni tecniche siano più o meno uguali per tutte le sedi. Salvo poi scoprire che i giudici in camera di consiglio possono collegarsi da remoto, quasi come se non fosse lo stesso “remoto” richiesto per l’udienza cui parteciperebbero anche le parti. Insomma, in un clima così drammatico, aldilà di norme, direttive e ordinanze, basterebbe in molti casi un minimo di buon senso e di comprensione da parte di tutti per far funzionare al meglio le cose. Il timore è che il coronavirus abbia cancellato anche queste basilari regole di convivenza.

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