Professione

Serve la riforma fiscale, basta slogan

di Enrico De Mita

Sono proposte di principio che abbisognano di un’ elaborazione analitica. Da parte del governo c’è stata una dichiarazione del sottosegretario alle Finanze favorevole alla prospettiva europea: «La scommessa si gioca nell’Europa ma la proposta cardine di riforma è una indicazione (la flat tax) ancora discutibile». Salvini ha detto che si sta lavorando al quoziente familiare. Come si vede siamo ancora a livello zero. È allo studio anche l’ipotesi di abolire gli 80 euro solo se il risultato sarà l’effettiva riduzione delle imposte per il più ampio numero di persone e imprese possibile. Come si vede da parte del governo c’è solo un’indicazione propagandistica. Dal mondo tecnico esterno al governo ci sono solo (e non potrebbe essere diversamente) indicazioni di massima. E la prospettiva delle elezioni europee non è la condizione migliore per uscire dalla propaganda.

I princìpi finora indicati sono destinati a rimanere sulla carta. Quando fu fatta la riforma del 1971 fu varata una commissione di studiosi sotto la guida del professor Cesare Cosciani. Oggi non si vedono studiosi che collaborino col governo. Il Parlamento al quale è affidata istituzionalmente la materia si occupa di fisco solo per la tutela di interessi corporativi. Ogni anno viene approvata una legge nella quale le cose fiscali sono indicate per previsioni minute senza un quadro di riferimento.

Ma bisogna tener fermi alcuni princìpi. Secondo me, l’ordine della materia può essere ricercato solo in prospettiva, analogamente a quanto avviene per la politica economica. Ormai si insegna anche nelle Università: non si può superare l’irrazionalità del nostro fisco se non guardando a quanto avviene negli altri Paesi, sia in ordine alla struttura delle imposte sia in ordine alle procedure di applicazione. La lotta all’evasione non si fa con gli slogan. A livello europeo ci sono direttive, ma anche un’esigenza di armonizzazione che nel campo delle imposte sui redditi tocca la tassazione delle società e delle rendite finanziarie. Jacques Delors ha sottolineato, non molto tempo fa, come non basti la politica monetaria, ma che debbano concorrere tutte le politiche economiche. Non si può vivere alla giornata. Dobbiamo avanzare su tutti i fronti e non possiamo porre l’accento solo sulle difficoltà. Anzi quando finalmente cominciano le difficoltà la soluzione di esse dirà che la Ue è più reale di quanto non sembri. La comunità non è solo un gran mercato, bensì uno spazio economico senza frontiere destinato a trasformarsi in un’unione politica. È un contratto di matrimonio indissolubile anche se non tutte le clausole sono poste in applicazione. Intanto in Italia le cose rimangono ferme: indicazioni minute che non trovano riscontro nei precedenti degli altri Paesi. Si resta legati alle prospettive della flat tax e agli 80 euro.

Malgrado l’ottimismo di Delors, la crescita della Ue registrata fino a qualche tempo fa si è arrestata. Ma sarebbe un errore considerare la Ue come una realtà compiuta. Resta ancora molto da fare. Interrompere o mettere in questione il processo europeo significa «evocare spettri che vanno messi a tacere», così ha detto padre Spataro in un editoriale sulla Civiltà Cattolica. «I cristiani in Europa non possono ritirarsi di fronte al compimento delle loro responsabilità storiche nei confronti del futuro dell’Unione. L’Europa ha bisogno di cittadini e non solamente di abitanti. È unione di popoli e non solamente di istituzioni». Se la ripresa avverrà fra gli stessi europei anche l’Italia sarà coinvolta.

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