Professione

La web tax francese è legge, Trump minaccia sanzioni

di Riccardo Sorrentino

La Web tax francese è legge. Incurante della decisione americana di aprire un’«inchiesta» che potrebbe portare a sanzioni commerciali, il Sénat ha approvato in via definitiva l’imposta sui Gafa (Google, Amazon, Facebook e Apple) destinata a colpire una trentina di giganti internet del mondo (anche Alibaba, Airbnb, Booking, Zalando, Ebay, Twitter, Axel Springer) e generare entrate per 400 milioni quest’anno e 650 milioni nel 2020.

L’obiettivo della legge è tassare le imprese che «creano valore aggiunto grazie agli internauti francesi», imponendo un prelievo pari al 3% dei ricavi. Colpirà i gruppi che generino un giro d’affari per più di 750 milioni di euro in totale e più di 25 milioni in Francia. Non saranno solo gruppi americani, quindi, a subire l’imposta: anche la francese Critéo, attiva nel retargeting pubblicitario, rientra per esempio nei parametri definiti dalla legge.

Il provvedimento non è più «provvisorio», come nella stesura originale della legge - che prevedeva di azzerare i suoi effetti nel 2023 - ma è sicuramente transitorio: dovrà essere modificato in seguito a un accordo internazionale, che si sta negoziando all’Ocse di Parigi, o alle decisioni europee. Lo stesso Senato ha definito la legge «un palliativo», anche perché «imperfetta economicamente in quanto tassa il giro d’affari e non gli utili, e complessa nella sua applicazione».

La Francia ha però deciso di aprire la strada da sola e di varare la legge da sola soprattutto dopo il fallimento delle trattative in sede europea, bloccate dall’opposizione di Irlanda, Svezia, Danimarca e Finlandia. Ha pesato probabilmente anche la necessità di finanziare le misure decise per contrastare i Gilets Jaunes, che avrebbero potuto portare i conti pubblici di Parigi fuori strada. È di ieri anche la notizia che il taglio alle imposte sulle imprese sarà inferiore al previsto, nel 2020, in quanto l’abrogazione di alcune detrazioni fiscali apporterà solo 615 milioni di euro invece dei 1-1,5 miliardi stimati in un primo momento.

Gli Stati Uniti hanno reagito con forza alla decisione francese. Mercoledì - prima dunque dell’approvazione definitiva - è stata annunciata l’apertura di un’inchiesta ai sensi della Section 301 del Trade Act del 1974. È una serie di norme che autorizza il presidente a prendere tutte le azioni necessarie per rimuovere decisioni e attività di un governo straniero che limitino il commercio Usa e violino un’intesa internazionale o siano ingiustificate, irragionevoli o discriminatorie. L’inchiesta è stata aperta, su richiesta di Donald Trump - che pure non ama i gruppi internet e aveva lanciato qualche disponibilità a trattare sul tema - da parte del rappresentante al commercio (Ustr) Robert Ligthizer, e questa circostanza impone alla Casa Bianca di aprire una trattativa con la Francia per la rimozione della legge. Solo in un secondo momento, e in caso di fallimento, gli Stati Uniti potrebbero introdurre dazi e tariffe come ritorsione. La stessa Section 301 è stata usata contro la Cina nel 2017 e ha portato all’imposizione di tariffe su importazioni del valore di 250 miliardi di dollari. «Gli Stati Uniti sono molto preoccupati - ha detto Ligthizer - che la tassa sui servizi digitali colpisca in modo iniquo le imprese americane. Il presidente ha deciso di valutare gli effetti di questa legge e determinare se è discriminatoria o irragionevole o colpisca o pesi sul commercio Usa», ha aggiunto ripetendo la formula prevista dal Trade Act.

La Francia ritiene invece che la legge rispetti i trattati internazionali. Gli alleati «devono e possono risolvere le loro controversie in modo diverso dalle minacce», ha detto al Senato il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, il quale ha aggiunto che «la Francia è sovrana, decide sovranamente le proprie regole fiscali, e continuerà a decidere sovranamente le proprie regole fiscali». La tassa, per la Francia, è inoltre un incentivo a «accelerare ancora di più il lavoro per trovare un accordo sulla tassazione dei servizi digitali in seno all’Ocse». Il tema potrebbe essere affrontato la settimana prossima al G-7 Finanze di Chantilly.

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