Professione

Dalla cattiva organizzazione i rischi per l’amministratore

di Riccardo Borsari

La riforma della legge fallimentare, con la riscrittura dell’articolo 2086 del Codice civile, ha imposto all’imprenditore che operi in forma collettiva o societaria un obbligo organizzativo volto a scongiurare il rischio di possibili crisi future e, in ogni caso, a salvaguardare la continuità aziendale dell’esercizio dell’attività d’impresa. A ben vedere si tratta di una specificazione del contenuto della vigente clausola generale di adeguatezza degli assetti (articolo 2381, comma 5, del Codice civile), dettata in tema di Spa ed estesa all’imprenditore tout court e a cui è aggiunto (o meglio, codificato a livello normativo) un parametro finalistico che consente di definire un assetto adeguato solo qualora questo sia idoneo al tempestivo recepimento dei segnali di crisi o di perdita della continuità aziendale.

Nel disegno del nuovo Codice l’obbligo organizzativo riveste una peculiare rilevanza, insieme alla predisposizione del duplice meccanismo di allerta basato sulle segnalazioni degli organi di sorveglianza (articolo 14) e dei creditori pubblici qualificati (articolo 15). Insieme, rappresentano gli strumenti con cui il legislatore ha virare verso un nuovo sistema in cui diviene essenziale l’intervento preventivo di natura strutturale.

La lettera del Codice della crisi, tuttavia, non sanziona direttamente la mancata predisposizione dell’assetto organizzativo. In base all’articolo 14 del Codice civile, infatti, gli organi di controllo, i quali hanno l’obbligo di azionare il meccanismo di allerta che può sfociare nel procedimento di composizione davanti all’Ocri, verificano il solo attivarsi costante dell’organo amministrativo ai fini dell’adeguatezza dell’organizzazione, e gli altri dati rilevanti per il giudizio sullo stato di salute dell’impresa, quali l’equilibrio economico finanziario, il prevedibile andamento della gestione e la sussistenza di indizi di crisi.

Non vi è traccia, invece, del potere di sindacare il merito delle scelte amministrative concernenti l’organizzazione. D’altronde, una volta dato corso alle procedure di composizione della crisi davanti all’OCRI, oppure alla liquidazione giudiziale o alle altre procedure concorsuali, non vi è più spazio per sindacare l’adeguatezza degli assetti organizzativi, in quanto il fine diviene la soddisfazione dei creditori nel rispetto del principio della par condicio.

Non si deve però concludere nel senso della completa irrilevanza della mancata adozione di misure organizzative adeguate, le quali – per assicurare l’effettività della riforma – non sono lasciate alla sola buona volontà di chi amministra l’impresa.

La responsabilità degli amministratori per mancata predisposizione di assetti organizzativi adeguati non manca, del resto, di precedenti nella giurisprudenza sviluppati a partire dal già richiamato articolo 2381, comma 5, del Codice civile.

Su tale base normativa si innesta la modifica dell’articolo 2086 del Codice civile che, da parte sua, ha allargato il novero dei doveri avendo riguardo alla necessità di rilevare tempestivamente la crisi di impresa e di superarla salvaguardando la continuità aziendale (going concern).

La responsabilità dell’imprenditore (cioè dell’organo amministrativo) si configurerà, allora, secondo gli ordinari elementi che compongono la fattispecie di responsabilità prevista dagli articoli 2392 e seguenti del Codice civile: oltre all’elemento soggettivo minimo della colpa, sarà necessaria anche la presenza di un danno eziologicamente collegato alla violazione degli obblighi menzionati.

Gli amministratori saranno così chiamati a rispondere nel caso di mancata adozione di un assetto organizzativo quando l’omissione abbia determinato (o concorso a determinare) un evento dannoso.

Similmente essi risponderanno per l’adozione di misure inadeguate che siano causa di un danno per la società. In entrambi i casi la responsabilità discenderà da una condotta omissiva, sebbene di differente portata.

L’azione di responsabilità potrà dunque essere promossa nelle forme degli articoli 2393 e 2393 bis del Codice civile dall’assemblea dei soci, dal collegio sindacale che deliberi a maggioranza dei due terzi o da un numero qualificato di soci. È da sottolineare come la legittimazione del collegio sindacale sia quella più idonea a rendere effettivo l’obbligo di adeguata organizzazione, alla luce degli obblighi di verifica imposti dal nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza cui sono tenuti gli organi di controllo e in relazione alla gestione delle segnalazioni, in particolare ove provenienti da creditori qualificati.

Resta ferma, inoltre, la responsabilità aquiliana per i danni diretti cagionati dagli amministratori ai singoli soci secondo il disposto dell’articolo 2395 del Codice civile; in applicazione analogica di quest’ultima disposizione, anche nelle società di persone sarà possibile, per il singolo socio non amministratore, ottenere il risarcimento dei danni derivatigli da una mancata prevenzione della crisi o dalla perduta continuità dell’esercizio di impresa.

Nel caso di imprenditori non organizzati in forma societaria, invece, il difetto organizzativo colpevole potrà essere fonte di responsabilità ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile.

In nessun caso è da ritenere che la società o l’imprenditore possa trincerarsi dietro l’insindacabilità del merito delle decisioni concernenti l’esercizio dell’impresa, giacché l’obbligo organizzativo è oggetto di una precisa obbligazione legale.

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