Professione

Confisca per responsabilità da reato degli enti, ancora aperta la questione del risparmio di spesa

di Riccardo Borsari

La confisca prevista dall’articolo 19 Dlgs 231/2001 concerne, come è noto, oltre al prezzo, il profitto del reato-presupposto commesso dall’ente. Nel silenzio del legislatore, la perimetrazione del termine “profitto” ha dato adito a importanti questioni interpretative e a tutt’oggi configura, anche in materia di responsabilità da reato degli enti, uno degli aspetti più controversi della disciplina della confisca.

Il quesito più rilevante in relazione alla disciplina del decreto 231 attiene alla possibilità o meno di confiscare (e, dunque, anche di sequestrare in via cautelare) il vantaggio di tipo immateriale rappresentato dal risparmio di spesa.

Sul punto, va premesso che l’ordinamento contempla talune fattispecie criminose la cui conformazione necessariamente implica che l’eventuale vantaggio conseguito dal reo non si estrinsechi in un incremento patrimoniale, bensì nel mancato decremento del patrimonio per l’omissione di esborsi dovuti, come avviene nella prassi, ad esempio, per la quasi totalità dei reati tributari o dei delitti colposi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e di ambiente.

Un primo indirizzo delle Sezioni Unite della Cassazione negava la possibilità di estendere la confisca alle somme corrispondenti a un risparmio di spesa (sent. n. 26654/2008, “Fisia Italimpianti S.p.A.”), fatte salve le ipotesi in cui per tale si intenda, in senso relativo, un ricavo introitato attraverso la condotta illecita, dal quale non siano stati decurtati dei costi che si sarebbero dovuti sostenere.

Il profitto era infatti inteso soltanto come reale spostamento di risorse originato dal reato, estrinsecatosi in un incremento patrimoniale apprezzabile. Pertanto, si riteneva impossibile assoggettare a confisca, pena la violazione del principio di legalità, il vantaggio derivante dall’omissione di spese illecitamente non sostenute cui non corrisponda alcun aumento, ma solo una “non-diminuzione”, del patrimonio (ad esempio, il risparmio derivante dalla mancata adozione di cautele antinfortunistiche che abbia cagionato un infortunio sul lavoro ex art. 25 septies d.lgs. n. 231/2001, come stabilito nel noto caso “Ilva”: Cass., sent. n. 3635/2013).

Anche in riferimento ai reati tributari si sosteneva che la confisca potesse riguardare solo incrementi positivi del patrimonio del reo conseguenti alla commissione del reato. Si era anzi precisato che, oltre a non configurare un guadagno in senso proprio, nel caso di meri risparmi di imposte dovute non fosse possibile individuare alcun bene collegato con il reato e, dunque, aggredibile con la confisca.

Tale ultima opinione è stata però superata da un intervento legislativo (l’art. 1, co. 143 della legge “finanziaria 2008”, successivamente trasfuso all’interno dell’art. 12 bis d.lgs. 74/00) che ha espressamente sancito la confiscabilità anche per equivalente del profitto o del prezzo dei reati tributari, ivi compresi i meri risparmi di spesa.

Secondo una discussa pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n. 10561/2014, “Gubert”), peraltro, la confisca del risparmio di spesa da reato tributario si configurerebbe come diretta, stante la natura fungibile del denaro. Attraverso questa decisione, la Corte di Cassazione ha cercato di ovviare alla lacuna legislativa che sussiste con riferimento alla possibilità di procedere alla confisca per equivalente del profitto ottenuto dalla persona giuridica a seguito della commissione di reati tributari da parte del suo legale rappresentante, in quanto il d.lgs. 231/01 non contempla dette fattispecie all’interno del catalogo dei reati-presupposto.

A tutt’oggi, la questione sembra peraltro ancora ben lontana dal trovare una soluzione condivisa: sono infatti molteplici le pronunce (v. Cass., sent. n. 49631/2014) che, pur formalmente aderendo ai principi delle Sezioni Unite, se ne sono di fatto discostate affermando, in senso assai più conforme ai principi generali, che il profitto del reato tributario, proprio in ragione della sua immaterialità oltre che della natura fungibile del bene da aggredire, possa costituire soltanto oggetto di confisca per equivalente.

La giurisprudenza ha in seguito sancito, per giunta, pure la confiscabilità dei risparmi di spesa diversi da quelli fiscali. In una pronuncia resa nell’ambito della nota vicenda “ThyssenKrupp” (sent. n. 38343/2014, “Espenhahn e altri”), in cui l’ente era imputato per l’illecito dipendente dai reati di omicidio e lesioni commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (art. 25 septies d.lgs. n. 231/2001), le Sezioni Unite hanno infatti confermato la confisca per equivalente di un’ingente somma di denaro, pari al risparmio conseguente alla mancata installazione di un impianto antincendio; è stata così estesa, anche al di fuori dell’ambito penale-tributario, la confisca ai risparmi di spesa in assenza di qualsivoglia ricavo introitato attraverso il reato.

Questa impostazione estensiva sembra difficilmente conciliabile con il principio di legalità, quanto meno fintantoché difetterà, sulla scorta di quanto avvenuto per i risparmi fiscali, un’espressa previsione di legge idonea non soltanto a fornire un’adeguata copertura legale alla misura, bensì a stabilire i parametri di quantificazione del profitto immateriale.

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