Imposte

Iva, approccio «doganale» per individuare l’aliquota ridotta

Gli interpelli 220 e 221 confermano che l’unica chiave certa è la Nomenclatura combinata Ue per i dazi

Con due risposte a istanze di interpello – il 220/2020 e il 221/2020 di martedì 21 luglio – l’agenzia delle Entrate determina la corretta aliquota Iva applicabile a alcune specifiche categorie di beni, illustrando però il corretto iter logico, giuridico e amministrativo che il contribuente deve seguire per ottenere la corretta qualificazione di un prodotto ai fini dell’imposta.

Le fattispecie all’esame dell’amministrazione sono due.
In un caso (interpello 220/2020) viene riconosciuta l’aliquota Iva al 10% di cui al n. 114 della tabella A della parte III del Dpr 633/72 soltanto per quei dispositivi medici che sono classificati, ai fini doganali, alla voce 3004.
Nell’altro caso (interpello 221/2020) la stessa aliquota del 10% di cui al n. 90 della medesima tabella viene invece riconosciuta a speciali prodotti di diretta derivazione del mais.

Ma oltre al merito di queste decisioni, ciò che più interessa è la corretta e completa ricostruzione giuridica e procedimentale operata dall’Agenzia, che entra ancora una volta su un tema sempre particolarmente scivoloso e che può avere effetti dirompenti per le imprese, sia in termini di gestione del tributo, sia in termini sanzionatori.

Classificazione dei prodotti e tabelle Iva
L’aliquota Iva ordinaria pari al 22% è affiancata da ipotesi di aliquote ridotte al 10%, 5% o 4%, ovvero di aliquote zero. Per ricondurre un prodotto a una di tali ipotesi speciali, occorre ricollegarlo alla descrizione dei prodotti ad aliquota agevolata di cui alle tabelle accluse al Dpr 633, che recano dei lunghi elenchi descrittivi spesso di difficile interpretazione. Ciò in quanto, anzitutto, le descrizioni dei prodotti sono discorsive e dunque opinabili; inoltre, non sono spesso richiamate le voci di Nomenclatura combinata, che potrebbero dare maggiore certezza agli operatori o, seppure richiamate, lo sono con riferimento a classifiche parziali e comunque superate e non più in vigore.

Sul tema è dunque fondamentale uno schema di analisi interna che consideri anzitutto la classificazione doganale del prodotto e, poi, la sua ascrivibilità alle tabelle del Dpr Iva. È il caso, ad esempio, dei beni misti (le miscele di due cereali con due aliquote Iva distinte) o compositi (la confezione unica di una bevanda agevolata venduta con un set di bicchieri ad aliquota piena) o semplicemente di difficile definizione (un prodotto alimentare sperimentale con molteplici ingredienti).

L’approccio «doganale»
In tutte queste ipotesi, è fondamentale avere un “approccio doganale”, per due ordini di ragioni. Anzitutto, perché l’unica chiave normativa certa, richiamata anche dalle tabelle del Dpr è la Nomenclatura combinata dell’Ue, sulla base della quale ordinariamente si applicano i dazi. Questa segue le sue regole interpretative e i suoi criteri di esegesi, che devono essere applicati. In secondo luogo, perché il procedimento amministrativo di attribuzione della giusta aliquota Iva a un bene, come disposto dalla circolare 32/E/10, parte dalla classificazione merceologica che, a sua volta, rientra nella competenza esclusiva dell’agenzia delle Dogane, che rilascia sempre preventivi pareri tecnici, correttamente ragionando sulla base di criteri doganali.

Oltre a ciò, si segnala l’importanza della classificazione delle merci ai fini del commercio internazionale, ove esiste comunque l’interpello tipico doganale dell’Informazione tariffaria vincolante (Itv), che è lo strumento principale per fornire certezza alle imprese circa la corretta qualificazione di un prodotto spedito da e per l’Unione europea.

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