Diritto

Concordato in continuità, alt all’anticipazione del Codice

Corte d’appello di Venezia boccia l’utilizzo di norme innovative non in vigore

di Giuseppe Acciaro e Alessandro Danovi

Fino a quando le nuove regole previste dal Codice della crisi sul concordato in continuità non saranno entrate in vigore, per considerare una proposta concordataria in continuità aziendale non è necessario che preveda la destinazione diretta a favore dei creditori dei flussi reddituali provenienti dalla prosecuzione. I creditori non devono inoltre partecipare in ogni caso al rischio di impresa e quindi farsi carico delle incertezze derivanti dalla prosecuzione dell’attività.
Lo ha stabilito la Corte di appello di Venezia che, con il decreto del 28 settembre 2020 n. 2576 ha ribaltato la decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Padova (decreto del 22 gennaio 2020) che aveva dichiarato inammissibile una proposta di concordato preventivo con continuità indiretta nel quale il trasferimento dell’azienda avveniva attraverso un aumento di capitale effettuato da un terzo che di fatto avrebbe messo a disposizione le risorse destinate al pagamento dei creditori.

Il richiamo al Codice della crisi
L’articolo 84, comma 3 del decreto legislativo 14/2019 prevede che nel concordato in continuità, i creditori vengano soddisfatti in maniera prevalente dai flussi generati dalla continuità aziendale diretta o indiretta. La nuova disciplina entrerà in vigore il 1°settembre 2021 ma il tribunale di Padova l’aveva comunque utilizzata come criterio di riferimento e aveva dedotto la mancanza di continuità aziendale dal fatto che nel periodo di esecuzione del piano la provvista per la soddisfazione dei creditori concordatari non derivasse dalla gestione di impresa e che i creditori restassero quindi esclusi dai rischi derivanti dalla prosecuzione. Aveva quindi riqualificato il concordato come liquidatorio e, in assenza del raggiungimento della soglia del 20% di soddisfacimento dei creditori chirografari, ne aveva dichiarato l’inammissibilità.
Ma la Corte veneziana rileva innanzitutto che la tesi di partenza del Tribunale è priva di un riscontro normativo attualmente applicabile. Il Codice della crisi non è infatti ancora operativo mentre la normativa attualmente in vigore e cioè l’articolo 186-bis della legge fallimentare non contiene tale previsione.
Con una disposizione innovativa il Codice della crisi invece stabilisce che elemento indefettibilmente caratterizzante il concordato con continuità sia che i proventi in qualsiasi modo derivati dalla prosecuzione debbano essere (nella proposta e nella previsione del piano) direttamente destinati ai creditori, affinché ne ricevano il soddisfacimento migliore.

I rischi per i creditori
Neanche il Codice, argomenta però la Corte veneziana, prescrive che i creditori debbano necessariamente partecipare al rischio d’impresa e quindi all’incertezza derivante dalla prosecuzione dell’attività (come invece sostenuto dai giudici di primo grado).
Anche perché - argomenta la Corte d’appello - un’interpretazione che ritenesse obbligatorio sottoporre i creditori all’incertezza derivante dalla prosecuzione dell’attività, svuoterebbe di significato la ratio di quella serie di norme di protezione volte a prevenire proprio che la crisi si aggravi in danno ai creditori, il cui miglior soddisfacimento resta l’unico parametro valutativo di riferimento.
Appartengono a questa tipologia di misure di presidio - precisa la Corte d’appello - le norme che richiedono per il piano di concordato con continuità aziendale l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa, delle risorse finanziarie attese e delle relative modalità di copertura nonché un contenuto specifico della relazione del professionista che deve attestare che la prosecuzione dell’attività sia funzionale al miglior soddisfacimento.
Proprio in merito a tale aspetto la Corte veneziana non dimentica di richiamare gli insegnamenti della Cassazione (sentenza 9061 del 17 aprile 2017) che indicano come nel concordato con continuità aziendale risulti logico che, per le caratteristiche che lo distinguono e per le particolari norme di favore attraverso le quali è agevolata la continuazione dell’impresa in crisi, l’istituto debba esser circondato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese a evitare il rischio di un aggravamento del dissesto a danno dei creditori. Invero la prosecuzione dell’attività deve essere comunque «funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori».
La Corte d’appello di Venezia, dopo aver affermato questi importanti principi sulla qualificazione della continuità giuridica del concordato ed evidenziato la discontinuità innovativa delle norme contenute nel Codice e la loro non scontata applicabilità prima dell’entrata in vigore, ha conclusivamente riformulato integralmente il provvedimento impugnato ed ha quindi omologato il concordato.

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