Imposte

Web tax italiana, paga chi «controlla» i dati

La web tax italiana diventa realtà con il primo pagamento fissato al 16 marzo e la prima dichiarazione annuale al 30 aprile.

Imposte sui servizi digitali (Isd) simili all’Italia sono state introdotte anche da Francia, Spagna, Regno Unito e altri Paesi (ai veda l’articolo in pagina). Le caratteristiche riflettono la proposta della Commissione Ue del 2018. Queste iniziative domestiche si intrecciano con i lavori Ocse sui cosiddetti pillar 1 (tassazione economia digitale) e 2 (tassazione minima da garantire a ogni Stato) e con la consultazione pubblica sulla «digital levy» a livello europeo e generano perplessità sulla natura dell’imposta, sulla sua legittimità rispetto al diritto europeo e internazionale (tanto che è certo l’avvio di contenziosi sia per i soggetti che si riterranno esclusi, sia per quelli che decideranno di pagare per poi però chiedere il rimborso) e sul suo ambito applicativo.

Il quadro italiano
La Isd italiana richiede il superamento di una doppia soglia di ricavi: ricavi ovunque “realizzati” (per competenza) per non meno di 750 milioni di euro; ricavi “percepiti” (per cassa) da servizi digitali “localizzati” in Italia per non meno di 5,5 milioni. La prima soglia comprende ricavi realizzati a fronte di qualsiasi attività imprenditoriale (non necessariamente “digitale”). L’imposta quindi non colpisce solo i cosiddetti giganti del web, anzi (ad esempio) alcuni grandi gruppi che forniscono servizi di streaming senza veicolare pubblicità e trasmettere dati sembrano esclusi, ma anche società o gruppi di settori limitrofi che si trovino a percepire più di 5,5 milioni di ricavi da servizi qualificati in Italia.

I servizi imponibili
Sono state individuate tre tipologie di servizi imponibili.

1. La veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata (targeted advertising). Alla luce della precisazioni contenute nel provvedimento delle Entrate, è alto il rischio di doppia imposizione che può verificarsi laddove siano rilevanti sia i ricavi del soggetto che colloca la pubblicità sulla piattaforma di terzi, sia i ricavi percepiti dal soggetto che “ospita” la pubblicità sulla propria interfaccia.

2. La messa a disposizione di un’interfaccia digitale che consenta agli utenti di mettersi in contatto e interagire tra loro, anche al fine di facilitare lo scambio diretto fra utenti di beni e servizi (sharing economy).

3. La cessione di dati raccolti dagli utenti e generati a seguito del loro utilizzo dell’interfaccia (big data).

Esclusioni e zone grigie
Le esclusioni dall’ambito applicativo sono incerte, come incerta, tra i servizi in astratto tassabili - soprattutto quelli riferiti alla messa a disposizione di interfaccia digitali multilaterali - è l’individuazione delle fonti di reddito rilevanti o meno. La bussola sembrano essere sempre i dati e il loro “controllo” nell’interazione con l’utente.

Tra i servizi senz’altro esclusi la fornitura diretta di beni e servizi nell’ambito di un servizio di intermediazione digitale. La ragione sta nel fatto che il valore aggiunto è dato dai servizi/beni forniti e non dalla partecipazione dell’utente all’interfaccia digitale.

Allo stesso modo escluso l’e-commerce attraverso il sito web del fornitore, quando questo non svolga funzioni di intermediario.

Ancora, è esclusa l’attività di messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale, in termini di ricavi realizzati, è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia di contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento.

Critica ai fini dell’esclusione è l’individuazione dei «contenuti digitali». Per il provvedimento dell’Agenzia si tratta di «programmi informatici, applicazioni, giochi, audio, video o testi, a prescindere dal fatto che l’accesso a tali dati avvenga tramite download o streaming».

Base imponibile e criteri
La base imponibile, da tassare al 3%, corrisponde alla percentuale dei ricavi globali derivanti da servizi digitali che risulta «attribuibile» all’Italia. I ricavi sono assunti al lordo dei costi e al netto dell’Iva e delle altre imposte indirette. Non sono tassati i ricavi derivanti da servizi prestati a favore di società del gruppo e l’Isd dovrebbe risultare deducibile dall’Ires.

Il criterio di localizzazione dipende essenzialmente da dove si trova il dispositivo (smartphone, Pc, tablet) mediante il quale l’utente si connette all’interfaccia. A tal fine rileva l’indirizzo Ip o «qualsiasi altra informazione disponibile […] che consenta la geolocalizzazione» del dispositivo.

L’obbligo di pagamento può ricadere sui contribuenti esteri, ma è prevista la responsabilità solidale di eventuali consociate italiane (anche non soggette all’imposta). Può essere designata un’unica società ai fini degli obblighi di versamento e dichiarazione per conto di tutte o alcune le società parti di un gruppo.

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