Adempimenti

Digital tax, una sola società obbligata per il gruppo

Priorità la «stabile» in Italia. Anche non residenti ma non in Paesi non collaborativi

Con la pubblicazione del modello di dichiarazione per l’imposta sui servizi digitali (si veda l’articolo) , l’agenzia delle Entrate è pronta a ricevere le prime dichiarazioni annuali per il 2020 (entro il 30 aprile) e riscuotere il primo versamento (entro il 16 marzo).

Il modello fa seguito alla pubblicazione del provvedimento attuativo. Chiariti taluni aspetti operativi, restano margini d’incertezza su aspetti chiave, tra cui: (a) il preciso contorno dei «servizi digitali», (b) il perimetro delle attività escluse, (c) nell’ambito dei servizi digitali «qualificati», quali sono i flussi di ricavi da considerare e quali no, (d) quali criteri di geolocalizzazione degli utenti, alternativi all’indirizzo IP del dispositivo, che non ha natura prioritaria, potranno essere in concreto accettati dall’amministrazione.

La platea dei soggetti passivi appare più ampia di altre imposte omologhe europee che pure condividono la medesima fonte ispiratrice (la proposta della Commissione Ue del 2018). È prevista una doppia soglia di ricavi: almeno 750 milioni di euro realizzati (criterio di competenza) e almeno 5,5 milioni di euro percepiti (criterio di cassa) da servizi digitali qualificati collegati a utenti localizzati in Italia. Entrambi i requisiti vanno valutati con riferimento all’«anno solare» precedente a quello di applicazione dell’imposta (2019). La prima soglia comprende ricavi realizzati a fronte di qualsiasi attività imprenditoriale (non necessariamente “digitale”). L’imposta italiana, dunque, sembrerebbe non limitarsi a colpire i cosiddetti colossi del web, ma qualsiasi società o gruppo che si trovi a percepire più di 5,5 milioni di ricavi da servizi qualificati territorialmente rilevanti in Italia, considerando soprattutto le prime due categorie di servizi. Si pensi al targeted advertising posto in essere mediante l’impiego di un’interfaccia digitale e alla «trasmissione a titolo oneroso» dei dati ottenuti dalla partecipazione degli utenti all’interfaccia.

Il quadro DT del modello richiede di indicare, per ciascuna delle tre macro-tipologie di servizi digitali, tre dati: (a) l’importo dei ricavi ottenuti dalla prestazione di servizi digitali resi a livello globale, (b) la percentuale rappresentativa della parte di tali ricavi relativi a servizi collegati al territorio dello Stato, (c) la base imponibile data dal prodotto della moltiplicazione di (a) e (b).

Sul punto il modello sembra scontare un certa imprecisione terminologica che discende dallo stesso provvedimento. Nonostante il riferimento letterale ai ricavi «ovunque realizzati», parrebbe più corretto considerare – in ossequio ai punti 1.i) e 3.1 del provvedimento – i ricavi percepiti secondo un criterio di cassa. Un intervento sul modello permetterebbe di sciogliere il dubbio.

Da ultimo, il modello dà conto della possibilità di designare un’unica società ai fini degli obblighi di versamento e dichiarazione per conto di tutte o alcune le società parti di un gruppo. Il punto 7.6 del provvedimento al riguardo sembra chiarire che (i) deve in ogni caso trattarsi di una società che si qualifica come soggetto passivo dell’imposta, (ii) deve trattarsi «prioritariamente» di una società o stabile organizzazione italiana, (iii) in via residuale, può trattarsi di un soggetto passivo non residente (purché non stabilito in Paese non collaborativo).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©