Serve un ammortizzatore sociale anche per i titolari di partita Iva
La vicenda del bonus Covid-19 percepito anche da parlamentari e navigator evidenzia un dato essenziale: ormai è necessario prevedere strumenti di sostegno a regime anche per i professionisti
La vicenda delle indennità Covid-19 erogate a uno sparuto gruppo di parlamentari e consiglieri regionali ha il merito di mettere in luce le carenze degli strumenti emergenziali varati dal Governo a favore di professionisti e piccoli imprenditori, confermando le perplessità già espresse negli scorsi mesi da molti addetti ai lavori.
In primo luogo, l’estrema frammentazione dei criteri di accesso a misure della stessa tipologia (indennità e contributi a fondo perduto) e con le medesime finalità, diversificati sulla base della natura giuridica o sulle specifiche condizioni di difficoltà dei beneficiari, ha determinato il dispiegarsi di effetti diversi su situazioni analoghe, indipendentemente dalla misura dei danni sopportati. In secondo luogo, la scelta di affidarsi a strumenti di helicopter money, evitando di stabilire, almeno per le indennità di marzo e aprile, anche minime condizionalità, non ha consentito di concentrare le risorse impiegate sulle situazioni di maggiore difficoltà, preferendo la politica del “dare poco a tutti”.
L’insieme di tali misure ha prodotto una serie di iniquità, di cui le indennità di 600 euro per i mesi di marzo e aprile ai navigator in costanza di rapporto di lavoro (e, quindi, di piena retribuzione), qualche mese fa, e a parlamentari e consiglieri regionali, oggi, rappresentano soltanto le situazioni mediaticamente più eclatanti.
Si dirà, come effettivamente sostenuto da alcuni addetti ai lavori, che tale modalità di azione si è resa necessaria per garantire una elargizione tempestiva delle indennità che, qualora fossero stati fissati criteri selettivi, non sarebbe stata possibile. Tale asserzione, tuttavia, sarebbe smentita dalla classica eccezione che conferma la regola: per i professionisti iscritti alle Casse di previdenza, infatti, già da marzo l’acquisizione dell’indennità era condizionata al soddisfacimento di requisiti di natura reddituale e dalla dimostrazione di aver subito danni a causa dell’emergenza Covid-19, come peraltro confermato anche dal recente decreto di agosto. Un doppio binario, presumibilmente, effetto più della frammentazione normativa che della cognizione, in un contesto inedito, delle tempistiche di risposta degli enti di previdenza pubblica e privata.
Ma tale vicenda, più che per la questione marginale delle indennità ai parlamentari, dovrebbe meritare di essere ricordata per aver finalmente messo a nudo le effettive condizioni di lavoro e di reddito di centinaia di migliaia di professionisti (le indennità erogate dalle Casse raggiungono circa 500mila iscritti) che, nonostante continuino a essere percepiti dalla parte dell’opinione pubblica, e della politica, più disattenta ai cambiamenti sociali (basta riprendere alcuni post e commenti apparsi nei giorni scorsi sui social) quale categoria o classe «privilegiata», domandano un salto di qualità degli strumenti di protezione sociale. Domanda che, verosimilmente, supererà la contingenza pandemica e dovrà trovare risposte durevoli e sistematiche, privilegiando strumenti selettivi e autoliquidanti. Qualche spunto di riflessione potrebbe emergere dall’analisi del disegno di legge sulla tutela dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps recentemente approvato dall’assemblea del Cnel, dove per la prima volta viene prevista l’introduzione di un “ammortizzatore sociale” a favore di soggetti in partita Iva, nel solco, peraltro, già tracciato dalla Corte di giustizia europea.
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di Eugenio della Valle