Diritto

Concordato misto, i giudici «premiano» la prosecuzione

Quando c’è un complesso produttivo da tutelare o va salvaguardata l’occupazione

di Michele D'Apolito

La disciplina del concordato misto sta raggiungendo un approdo interpretativo univoco e sempre più consolidato. La Corte di cassazione, con la sentenza n.734 del 15 gennaio 2020 ha confermato, seppur con argomentazioni giuridiche diverse, la linea del Tribunale di Milano (sentenza 28 novembre 2019), e cioè che quando vi è un complesso produttivo significativo da tutelare va applicata la disciplina del concordato in continuità, indipendentemente dall’entità dei beni da assoggettare a liquidazione (sempre che questa scelta non leda le ragioni creditorie).

I giudici milanesi e la Suprema Corte hanno esaminato due fattispecie parzialmente differenti, ma accomunate dalla natura mista delle proposte (continuazione aziendale accompagnata dalla liquidazione di beni non strategici), pervenendo alla stessa conclusione.

La questione riguarda alcuni aspetti interpretativi controversi, generatori di orientamenti giurisprudenziali diversi, con disparità in termini di riconoscimento del credito percentuale minimo per i chirografari, di attestazione specifica e nomina del liquidatore.

Le motivazioni

L’argometazioni seguite dal Tribunale di Milano e dalla Suprema Corte sono però differenti.

Nel primo caso, vi è una lettura anticipatoria dell’articolo 84 del Codice della crisi d’impresa, secondo il quale la continuità sussiste ogni qualvolta il piano preveda l’impiego per due anni di un numero di dipendenti almeno pari alla metà della media degli occupati dell’ultimo biennio. In altre parole, quando va tutelato il presidio occupazionale bisogna prescindere dalla verifica di quale sia il contributo prevalente della proposta, se proviene dalla componente di dismissione degli assets o dalla prosecuzione aziendale. E questo pur nel quadro generale delineato dallo stesso articolo 84, in cui il primo passaggio per definire la natura della continuità di una proposta è la prevalenza quantitativa del ricavato della stessa. Una condizione però derogabile per conservare un apprezzabile presidio occupazionale.

La Suprema Corte compie invece una lettura letterale dell’articolo 186-bis della legge fallimentare, che non evoca alcun rapporto di prevalenza del ricavato della liquidazione di una parte dei beni rispetto a quanto ritraibile dalla continuità, ma fa riferimento alla cessione dei beni «non funzionali all’esercizio dell’impresa», implicitamente ritenendo che quelli funzionali siano invece destinati alla prosecuzione dell’attività aziendale.

Secondo la Cassazione non vi è spazio per ipotesi miste, non essendo contemplata una normativa “terza” rispetto alle due alternative esistenti, e dove sussista una prosecuzione d’impresa va sempre inquadrata nell’ambito della continuità. Viene dato rilievo – e questo pare l’elemento centrale della pronuncia – alla funzionalità dei beni impiegati nella continuità sotto il profilo della rilevanza imprenditoriale, intesa come effettiva continuazione di un’entità aziendale, e del rischio dell’imprenditore, che si mette in gioco per proporre un miglior soddisfacimento dei creditori.

Le divergenze

La Cassazione pare dunque chiudere il dibattito giurisprudenziale (per le principali posizioni si veda: quotidianodiritto.ilsole24ore.com), ascrivendo gli orientamenti di alcuni giudici di merito (i tribunali di Ravenna e Monza, tra fine 2017 ed inizio 2018, avevano collegato in modo inequivocabile la continuità alla prevalenza dei flussi di cassa alla stessa riconducibili come fonte di soddisfacimento dei creditori), ancorati alla verifica della prevalenza quantitativa del ricavato, al tentativo di creare un argine agli abusi verificatisi successivamente all’eliminazione del rispetto di una percentuale minima di soddisfacimento dei creditori per le fattispecie di continuità, a seguito della quale si sono spesso palesate proposte velleitarie, con prosecuzioni aziendali di facciata, non supportate da una reale funzionalità economica.

1) Le posizioni della giurisprudenza

L’idoneità dei beni a soddisfare i creditori
La legge fallimentare (articolo 186-bis) non prevede un giudizio di prevalenza tra le porzioni di beni su cui si basa il soddisfacimento dei creditori, ma una valutazione sull’idoneità dei beni destinati alla continuità ad assicurare un migliore trattamento per i terzi. Pertanto,
ciò che importa è la rilevanza imprenditoriale dell’iniziativa e l’assunzione del rischio da parte del debitore di proporre un’alternativa migliorativa per i creditori.
Cassazione civile, sentenza del 15 gennaio 2020, n. 734

La tutela occupazionale
Il criterio di prevalenza “quantitativa attenuata”, ossia la verifica di quale sia la fonte prevalente di ricavi per la procedura viene bypassato in presenza della tutela di un presidio occupazionale apprezzabile, individuato nei suoi parametri minimi dal nuovo articolo 84 del Codice della crisi, così da attribuire la natura di continuità anche ai piani in cui la liquidazione degli assets non strategici il loro peso preponderante.

Tribunale di Milano, 28 novembre 2019


Il nuovo Codice

Il Codice della crisi favorisce le soluzioni che permettono dla posecuzione aziendale all’interno di un concordato misto con liquidazione di beni non strategici, considerandosi dirimente la causa concreta del negozio; se consiste nella garanzia della prosecuzione dell’attività, il concordato va qualificato come in continuità aziendale.
Tribunale Chieti, sentenza del 2 dicembre 2019

2) Il criterio quantitativo

La comparazione
La valutazione della disciplina applicabile va effettuata riferendosi al criterio della prevalenza, con una comparazione quantitativa fra le fonti del soddisfacimento dei creditori: la disciplina della continuità si applica solo se il soddisfacimento deriva in massima parte dai flussi finanziari prodotti dalla continuità.

Tribunale Ravenna, sentenza 15 gennaio 2018


La fonte prevalente
Il Tribunale può dichiarare l’inammissibilità (articolo 137 della legge fallimentare) di una proposta concordataria mista, se non assicura il pagamento del 20% dei chirografari e la fonte prevalente di soddisfazione dei creditori non è costituita dai flussi derivanti dalla continuità aziendale.

Tribunale Monza, 25 ottobre 2017

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