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Accertamenti, la crisi impone di superare gli automatismi presuntivi

Le abituali logiche di mercato non sono più applicabili alla situazione attuale

La crisi globale in corso preoccupa non solo per i suoi effetti economico-finanziari già percepibili, ma anche per le ripercussioni che avrà sull’applicazione di tutti gli istituti del diritto tributario che - in vario modo - attribuiscono rilevanza giuridica alla situazione economica delle imprese. Fra i tanti istituti, ci si riferisce, in particolare, alle modalità di ricostruzione presuntiva degli imponibili tipiche dell’accertamento sintetico, all’attribuzione di benefici premiali ai contribuenti “affidabili” sulla base di indici statistico-economici (gli Isa), alla disciplina sulle società di comodo, alle valutazioni sull’andamento del mercato (come le quotazioni Omi), all’esimente della forza maggiore per escludere la sanzionabilità degli omessi versamenti.

Rispetto a queste situazioni, la drammaticità della fase storica che stiamo vivendo (la quale caratterizzerà non solo il periodo d’imposta in corso, ma verosimilmente anche i successivi) dovrebbe portare gli uffici accertatori (e i giudici) a ripensare alla funzione e al senso che hanno criteri come quello delle «normali logiche di mercato», fino a oggi utilizzato per sindacare l’antieconomicità della gestione aziendale. Secondo la logica di tale criterio (peraltro sprovvisto di un chiaro fondamento normativo), il Fisco non ammette imprese in perdita o con utili non significativi, pena la contestazione di un abuso del diritto o di un’evasione fiscale.

Nell’attuale situazione di eccezionalità, la contrazione delle vendite a fronte di costi fissi non comprimibili potrebbe, però, richiedere riassetti organizzativi o gestionali che potrebbero risultare non solo difficilmente valutabili in termini di maggiore redditività, ma anche (apparentemente) irrazionali secondo una logica di mero profitto (come nel caso in cui l’impresa decida di effettuare vendite sottocosto pur di assicurare la sua continuità aziendale).

In passato, con riferimento alla crisi finanziaria del 2007-2008, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto al contribuente la possibilità di giustificare le sue scelte imprenditoriali sulla base della difficile situazione economica generale (da ultimo, Cassazione 12927/2019). Tale giurisprudenza ha, quindi, valorizzato la situazione generale di crisi solamente nell’ambito delle ragioni che il contribuente deve addurre per difendersi dalle contestazioni di antieconomicità, richiedendo che tali ragioni siano documentate da elementi oggettivi, riferibili in concreto alla sua situazione specifica.

Rispetto però alle crisi passate, quella attuale - con i suoi drammatici connotati di globalità e complessità - postula un diverso approccio, in quanto impone un radicale ripensamento della valenza (e opportunità) degli strumenti presuntivi finora utilizzati dall’Amministrazione finanziaria: quale contenuto concreto può essere ascritto alle «normali logiche di mercato» nella situazione attuale che, nel riguardare tutti (come l’etimo del termine pandemìa suggerisce), sconvolge la nozione di “normalità” (ammesso che ne sia mai esistita una), riscrive le regole della “logica” commerciale e rende ancor più frazionato il contesto economico in una pluralità differenziata di “mercati”?

Invece che continuare ad applicare rigidi automatismi presuntivi che finora hanno portato a considerare le performance reddituali negative come sintomatiche di possibili violazioni fiscali, scaricando sui contribuenti accertati l’onere di giustificare (a valle dell’accertamento) le loro (spesso difficili) scelte gestionali, sarebbe più razionale iniziare a riconoscere (a monte dell’accertamento) che la “normalità” dell’attività d’impresa non può più essere semplicisticamente ricondotta a un’esigenza di immediata realizzazione di profitto. Bisognerebbe, pertanto, riscrivere i presupposti e le modalità degli strumenti di ricostruzione presuntiva degli imponibili, che - oggi più che mai - si rivelano incapaci di fotografare l’effettiva capacità contributiva delle imprese, per evitare che il loro ricorso trasmodi in ingiustizia per quei contribuenti oggi in sofferenza.

La nuova “normalità” dell’attività d’impresa dovrebbe ispirare gli uffici dell’Amministrazione finanziaria a un approccio diverso anche rispetto alle istanze di sospensione in via amministrativa della riscossione, finora quasi sempre oggetto di sistematico rigetto. L’attuale crisi di sistema se, da un lato, rende fondato il pericolo per la riscossione, dall’altro lato, avendo già di fatto compromesso l’equilibrio economico-finanziario delle imprese, rende evidente la difficoltà (se non l’impossibilità) di dare seguito alle richieste di pagamento del Fisco. Si sta già (purtroppo) concretizzando quel “danno grave ed irreparabile” che, per salvaguardare la sopravvivenza stessa delle imprese, richiederebbe una sospensione amministrativa “diffusa” degli atti esattivi, che intervenga prima dell’eventuale sospensione giudiziale che necessita di più tempo.