Contabilità

Aiuti alle imprese, non tutti i dividendi vanno esclusi

L’applicazione della garanzia statale non deve essere subordinata a condizioni troppo penalizzanti

di Gian Marco Committeri

Con il decreto 8 aprile 2020, n. 23 (decreto Liquidità) il Governo ha inteso utilizzare il (suo) bazooka per garantire risorse finanziarie alle imprese, inevitabilmente (ed incolpevolmente) sopraffatte da un lock-down mai visto prima, figlio della crisi più grande e profonda dal secondo dopoguerra.

Si può discutere se la misura sia stata adeguata, se si poteva fare di più e se la burocrazia italica sia compatibile con l’urgenza dei bisogni del ceto imprenditoriale. Ma non è di questo che si intende parlare; piuttosto si tratta di analizzare la norma e capire se alcuni aspetti non regolamentati possano trovare comunque una soluzione che eviti ingiustificate penalizzazioni nonché segnalare un aspetto che rischia di rallentare oltremodo l’effettiva erogazione dei fondi alle imprese che, purtroppo, non possono aspettare a lungo.

Nell’ambito dei finanziamenti ammessi a beneficiare della garanzia Sace tra le condizioni previste per l’accesso, infatti, vi è quella per cui «l’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno che essa, nonché ogni altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo cui la prima appartiene, non approvi la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel corso del 2020» (articolo 1, comma 2, lettera i). Essendo un impegno da assumere al momento della richiesta delle garanzie pubbliche appare intuitivo come l’accesso al beneficio non possa essere precluso nei casi di distribuzioni di dividendi già deliberate ed eseguite alla data dell’entrata in vigore del decreto (9 aprile 2020). Sul punto, in ogni caso, una conferma sarebbe certamente utile per evitare rallentamenti nell’iter istruttorio e deliberativo del finanziamento.

Ma se la distribuzione è già stata deliberata ma non ancora eseguita alla data di entrata in vigore?

Due le strade: prevale il riferimento alla mera deliberazione, così che l’adozione della delibera in assenza del vincolo previsto dal Dl Liquidità fa salva anche la (successiva) distribuzione delle somme quando il vincolo è cogente oppure, con un approccio sostanzialistico, si deve ritenere che il rilascio della garanzia pubblica presupponga un impegno a non dare esecuzione alla delibera di distribuzione.

Se la ratio della norma è quella di non dare accesso al beneficio alle imprese che nel medesimo periodo da una parte chiedono finanziamenti agevolati e dall’altra distribuiscono risorse ai soci, sottraendole quindi dal circuito produttivo oggetto del supporto pubblico, è facile propendere per la seconda soluzione. Ma questa stessa logica dovrebbe indurre a diversificare la risposta a seconda del tipo di distribuzione di dividendi. Si tratterebbe, cioè, di verificare se la distribuzione sia davvero in grado di frustrare l’intento del legislatore, distogliendo cioè risorse dall’utilizzo imprenditoriale per consegnarle ai soci.

Se in un gruppo una società controllata distribuisce il dividendo alla società controllante che, per ipotesi, è anche il soggetto operativo che si attiva per accedere ai finanziamenti con garanzia pubblica, la distribuzione del dividendo non modifica affatto le risorse complessivamente disponibili, né quindi appare giustificabile una esclusione dai benefici. In questo contesto, infatti, la distribuzione del dividendo infragruppo potrebbe semplicemente rappresentare una modalità per ottimizzare la gestione della cassa ovvero l’esecuzione di un impegno assunto con le banche finanziatrici per far sì che la cassa generata dal gruppo sia posta il più vicino possibile al debito contratto (per ipotesi dalla capogruppo).

Una generalizzata assimilazione delle distribuzioni di dividendi quali cause ostative all’accesso alle garanzie pubbliche può comportare quindi una ingiustificata, quanto inutile, penalizzazione per i gruppi che hanno deliberato (ma non eseguito) ovvero intendono procedere ad una distribuzione di dividendi infragruppo senza alcuna fuoriuscita di cassa dal proprio circuito produttivo.

Mentre su questo aspetto appare possibile porre rimedio, in via legislativa ovvero interpretativa, diverso è il caso rappresentato dalla relazione tra il nuovo debito garantito dallo Stato e quello preesistente. Non è infrequente infatti che il debito contratto dalle imprese, soprattutto di medio-grandi dimensioni, sia assoggettato al rispetto di precisi vincoli e condizioni (financial covenants).

Una delle condizioni che può sussistere è proprio un limite all’incremento dell’indebitamento senza il consenso delle banche finanziatrici. Ecco quindi che per accedere ai finanziamenti previsti dal Dl Liquidità molte imprese dovranno richiedere ed ottenere l’autorizzazione (waiver) dagli attuali finanziatori con conseguenze (allungamento dei tempi e sostenimento di costi) che mal si attagliano alla situazione in cui le imprese si trovano ad operare.

Probabilmente non è immaginabile un intervento legislativo che incida sulle relazioni privatistiche tra impresa e creditori ma è invece certamente auspicabile un intervento di moral suasion sul sistema creditizio per concedere, ed in tempi rapidi, le autorizzazioni per poter accedere ad un maggiore indebitamento che, in fondo, ha lo scopo di salvaguardare la continuità aziendale e contribuire, quindi, anche alla rimborsabilità dei debiti già esistenti.

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