Imposte

Dal fisco un handicap alla composizione negoziata della crisi

In caso di cessione d’azienda il cessionario può essere chiamato a pagare i debiti fiscali del cedente

di Giulio Andreani

Il legislatore della crisi d'impresa dimentica spesso di disciplinare i profili fiscali degli istituti che introduce ed è accaduto anche per la composizione negoziata della crisi d'impresa.

L'articolo 10 del decreto-legge 118/2021 stabilisce che, su richiesta dell'imprenditore, il Tribunale può autorizzare il trasferimento dell'azienda, o di uno dei suoi rami, escludendo gli effetti previsti dall'articolo 2560, comma 2 del Codice civile, a norma del quale l'acquirente risponde dei debiti inerenti all'esercizio dell'azienda acquistata che risultano dai libri contabili del cedente. La ratio della norma è chiara: per favorire il trasferimento dell'azienda da parte dell'impresa in crisi e agevolarne il risanamento, l'acquirente può essere sollevato delle responsabilità concernenti i debiti del cedente che su di esso normalmente gravano.

Nulla è stato però previsto in ordine ai debiti fiscali del cedente, relativamente ai quali le responsabilità dell'acquirente sono stabilite dall'articolo 14 del Dlgs 472/1997, secondo cui il cessionario è obbligato solidalmente al pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse dal cedente nell'anno della cessione dell'azienda e nei due precedenti, indipendentemente dall'applicazione dell'articolo 2560 del Codice civile. L'esclusione prevista dal citato articolo 10 è dunque irrilevante rispetto ai debiti fiscali del cedente e non solleva l'acquirente dal rischio di doverli pagare.

Si tratta evidentemente di una lacuna, che non è colmata dal comma 5-bis del medesimo articolo 14, il quale esclude l'applicazione della responsabilità di cui trattasi solo quando la cessione avviene nell'ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, di un piano attestato, ovvero di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio. Poiché a questo elenco di istituti il legislatore non ha aggiunto quello della composizione negoziata, non costituendo quest'ultima una procedura concorsuale rimane ferma la responsabilità del cessionario prevista dall'articolo 14 del Dlgs 472/1997. Per usufruire dell'esclusione dalle responsabilità si può sempre far seguire alla conclusione delle trattative un accordo di ristrutturazione dei debiti o un accordo fondato su un piano attestato, trovando in questo caso diretta applicazione il comma 5-bis, ma la lacuna normativa c'è.

Un fenomeno analogo si verifica anche con riguardo all'emissione delle note di variazione Iva da parte dei creditori che non vengono soddisfatti integralmente.

L'articolo 14 del Dl 118/2021 disciplina il trattamento delle perdite su crediti da parte dei creditori che nell'ambito della composizione negoziata non vengono soddisfatti integralmente, rendendo applicabili, ai fini delle imposte sui redditi, le disposizioni recate dall'articolo 101 del Tuir, ma nulla dispone, al contrario, ai fini Iva e cioè in merito all'emissione, da parte degli stessi, delle note di variazione previste dall'articolo 26 del Dpr 633/1972.

Questa norma consente l'emissione di note di variazione solo in presenza di procedure concorsuali, di un accordo di ristrutturazione dei debiti e di un piano attestato, e non a seguito di un diverso accordo con cui la composizione negoziata si conclude. Ne consegue che il mancato incasso del credito senza ricorrere agli istituti disciplinati dalla legge fallimentare di per sé non consente al creditore di recuperare l'Iva non percepita; salvo, anche in questo caso, prevedere che la composizione negoziata sbocchi in uno di tali istituti.

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