Il CommentoProfessione

Revisori, dai tetti ai compensi un boomerang per le società

di Elbano De Nuccio (presidente Cndcec) e Davide Di Russo

Lo schema di regolamento relativo ai compensi delle società non quotate a controllo pubblico previsto dall’articolo 11, comma 6 del Testo unico sulle società partecipate (Dlgs 175/2016) e anticipato sul Sole 24 Ore del 2 giugno scorso ha il merito di superare una fase di stallo che si protrae sin dall’entrata in vigore del Testo unico e di accantonare il regime transitorio (dettato dal successivo comma 7) fondato sul mero rinvio a una disciplina preesistente (articolo 4, comma 4 del decreto legge 95/2012) e pensata per un contesto di revisione della spesa pubblica del tutto diverso rispetto a quello attuale, di carattere espansivo.

Purtroppo però i compensi massimi previsti per l’organo di controllo dallo schema di regolamento si confermano troppo bassi, e rischiano di tradursi in un boomerang per le amministrazioni socie.

Da un’analisi che il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili aveva condotto alcuni mesi fa su una prima bozza, sostanzialmente analoga su questo aspetto risulta infatti che, per effetto del nuovo tetto, i compensi attualmente deliberati, già più bassi di quelli generalmente previsti nel settore privato, dovrebbero registrare una sensibile riduzione: con una tendenza che è persino più netta nella prima fascia, nella quale sono comprese le realtà aziendali di maggiori dimensioni, e per la quale l’effetto peggiorativo dovrebbe interessare l'80% delle società.

Vale quindi lo stessa riflessione che, su queste pagine, si è tentato di incoraggiare in relazione agli amministratori delle società pubbliche: una volta che il legislatore ha deciso – con il Testo unico delle società partecipate – che le amministrazioni pubbliche (pur con tutti i vincoli di scopo e di attività) possono continuare a operare per il tramite di società di capitali, allora occorre mettere in condizione queste società di operare al meglio.

Se è così, allora non ha molto senso introdurre limiti al compenso tali da precludere all’area pubblica la possibilità di attrarre i migliori professionisti per ricoprire le cariche sociali.

E ciò vale ancor più per l’organo di controllo, che non si capisce perché debba essere considerato un costo da contenere, mentre rappresenta - come ha sottolineato il premio Nobel Joseph Stiglitz con riferimento al caso italiano - un presidio di legalità che merita di essere quanto più possibile potenziato.

L’appiattimento del compenso dei componenti dell’organo di controllo, già di per sé irrazionale, ha ancor meno senso considerato che, come si è detto, esso si ripercuote in modo più accentuato proprio in quelle realtà che, per ampiezza dimensionale e complessità strutturale, comportano per l'organo di controllo responsabilità notevolmente maggiori (e quindi intuitivamente richiedono maggiore esperienza e preparazione).

Nelle società a controllo pubblico rischia quindi di rimanere sguarnito proprio l’organo deputato a vigilare sulla legittimità dell’operato degli organi gestori e deliberativi, sull’adeguatezza degli assetti amministrativi, organizzativi e contabili, a tutela di soci, creditori e, in generale del principio di buona amministrazione e del sistema Paese.