Il CommentoControlli e liti

Il giusto processo fiscale sposta l’onere della prova verso l’amministrazione

Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati

di Enrico De Mita

Dal 16 settembre scorso la giurisdizione tributaria è esercitata dalle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado. La riforma ha chiarito i poteri istruttori di queste corti.

La riforma è certamente da integrare sul piano:

O della amministrazione della giustizia;

O del reclutamento dei giudici;

O della stabilizzazione – eventualmente con corso abilitante – degli attuali giudici onorari;

O dell’integrazione degli organici che siano, per altro, non più di segreteria, ma di vera e propria cancelleria.

La riforma, d’altra parte, orienta finalmente il processo tributario verso il giusto processo e chiarisce la distribuzione dell’onere probatorio in capo all’attore sostanziale della pretesa azionata, ossia in capo al Fisco.

L’articolo 7 Dlgs 546/92 è uno dei più rivoluzionati dal riformatore. Riportavamo costantemente nell’alveo del diritto comune il diritto tributario richiamando l’applicazione diretta delle processual-civilistiche; ma i sostenitori della presunta specialità o, peggio, autonomia del diritto tributario, inserivano il filtro arbitrario del sindacato di applicazione analogica, quasi che l’obbligazione tributaria, sia pur pubblica ed ex lege, fosse diversa dall’obbligazione civilistica.

Ora il legislatore, senza filtri interpretativi e con una norma positiva chiara e immediata, al comma 5-bis dell’articolo 7, in nome dei principi costituzionali del giusto processo e del buon andamento dell’amministrazione, stabilisce che «l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati».

La norma generale è derogata dalle norme specifiche che consentono di azionare pretese impositive su base indiziaria, come accade nell’accertamento induttivo del reddito. In ogni caso dovranno emergere in giudizio le ragioni oggettive della pretesa fiscale.

Di fronte a un’espressione di principio così rilevante, si tratta di vincere, in primo luogo, una certa diffidenza verso un testo meno lineare dell’articolo 2697 del Codice civile, a norma del quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia dei fatti o eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

Il nuovo articolo 7 ripete espressamente una norma che già c’è ed è già pienamente applicabile – per quanto inapplicata – al processo tributario. La sua struttura impugnatoria non fa dimenticare chi è l’attore sostanziale e qual è la necessità di impedire traslazioni, sia pur giudiziali, dell’onere probatorio non incombente sul ricorrente, convenuto sostanziale. Non fa neppure dimenticare la necessità di impedire indebite inversioni dell’onere probatorio sotto le mentite spoglie del meccanismo delle presunzioni semplici le quali impongono la prova contraria per essere vinte.

Nel processo tributario la memoria dei principi generali e della loro immediata applicabilità è stata negli anni quanto mai labile, portando sempre più, fino in cassazione, a un orientamento «pro fisco» pregiudizialmente, ossia anche a prescindere dalle risultanze processuali.

Non c’è una vera novità di questo novellato articolo 7. Sapevamo e sappiamo, infatti, che, per regola generale, le norme civilistiche si applicano in quanto non derogate all’obbligazione tributaria e al processo tributario.

La centralità dell’ultimo comma dell’articolo 7 nel processo tributario è finalmente ineludibile. Questa la novità assoluta. Il suo dettato è coerente a un orientamento che intende razionalizzare il diritto tributario in termini coerenti con l’ordinamento unitario, sulla base dello sviluppo della relazione tra norma costituzionale e norma ordinaria tributaria. La sua novità vera risiede in questo: nella sua integrazione espressa con la responsabilizzazione dell’amministrazione finanziaria sul piano probatorio e, prima ancora, sul piano motivazionale degli atti.

La formulazione della norma, d’altra parte, si rende meritevole di un’immediata correzione. Appare più corretto affermare che l’amministrazione prova le violazioni contestate con l’atto impugnato.

Eliminare, perciò, la locuzione “prova in giudizio” significa rafforzare la necessità di una motivazione adeguata, medio logico per un’adeguata difesa del contribuente nel rispetto dell’articolo 24 della Costituzione. Il testo della novella può essere apprezzato per costituire una guida alla composizione dell’atto impugnato e della sua motivazione: dall’atto impugnato dovranno già emergere fondatezza, non contraddittorietà, sufficienza a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.

Alla stessa stregua, sarà necessario che il contribuente fornisca, sin dalla propria istanza di rimborso, le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.

In mancanza di una motivazione adeguata, per come è scritto oggi l’ultimo comma dell’articolo 7, il processo rappresenta l’ultima chiamata per il Fisco.

Molto rischioso, vista la struttura impugnatoria del processo tributario, emettere atti inadeguati sul piano motivazionale, aprendo alla agevole contestazione della mancata esposizione delle ragioni oggettive fondanti la pretesa.

La norma rappresenta la più forte negazione della legittimità, nel processo tributario, di atti che affermano tautologicamente la mera antieconomicità di costi per sostenerne l’indeducibilità, o ancora, disconoscono semplicemente progetti in materia di ricerca e sviluppo.

Alle Corti di giustizia tributarie compete ora un ruolo fondamentale nella realizzazione del giusto processo tributario e della giusta imposta. Conseguenza coerente della novella dell’articolo 7 è, infine, l’intervento sull’articolo 360 n. 5 del Codice di procedura civile.

La Corte di cassazione deve poter sindacare la motivazione del giudice tributario, a maggior ragione dal momento che la norma tributaria gli impone di valutare l’oggettività delle ragioni del Fisco.

ha collaborato Francesco Cesare Palermo