Intangibili, ennesimo dietrofront a danno dei contribuenti
L'ammortamento a 50 anni delle rivalutazioni dà solo incertezza ai contribuenti
Quando la toppa è peggio del buco, verrebbe da dire. La rivalutazione dell'articolo 110 del decreto Agosto che così grande appeal ha riscosso presso le imprese (viste le condizioni più favorevoli rispetto alle precedenti edizioni, in primis la cospicua riduzione dell’imposta sostitutiva al 3%) rischia un clamoroso dietrofront; con buona pace di quanti l'hanno già opzionata nei bilanci di fresca approvazione, pagando anche il dovuto a titolo di imposta sostitutiva.
L'articolo 160 del Ddl Bilancio 2022, infatti, prevede l'allungamento del periodo di ammortamento di marchi e avviamenti rivalutati o riallineati nei bilanci 2020 a 50 anni, a fronte degli ordinari 18 massimi. L'unica alternativa concessa per continuare a dedurre le quote di ammortamento in diciottesimi è il pagamento dell'imposta sostitutiva prevista dall'articolo 176, comma 2-ter del Tuir (12-14-16%), al netto di quanto già versato per la rivalutazione. È poi possibile revocare gli effetti fiscali della rivalutazione, ottenendo il rimborso delle somme pagate per il suo perfezionamento.
A fronte dei mal stimati effetti sul gettito della norma di rivalutazione, dunque, il legislatore, con una disposizione la cui espressa portata retroattiva ignora i principi generali dello Statuto del contribuente, ha deciso, con la disinvoltura tipica di questa sfortunata stagione legislativa in materia fiscale, di farsi beffa di quanti hanno riposto affidamento sul pieno dispiegamento degli effetti della rivalutazione; ciò a discapito di quella certezza delle regole (obiettivo dichiarato della riforma fiscale di prossima approvazione) che dovrà rappresentare il presupposto per favorire e attrarre nuovi investimenti (anche esteri).
Come - ahinoi - troppo spesso accade, poi, si omette qualsiasi considerazione degli effetti pratici che derivano da norme sempre mutevoli e incerte.
Le conseguenze sui bilanci già approvati sono tante, parimenti negative e sotto gli occhi di tutti; si pensi già solo alla riduzione del valore del patrimonio netto derivante dalla revoca fiscale (ma non civilistica) della rivalutazione, a causa della necessità di iscrizione della relativa fiscalità differita a riduzione della riserva di rivalutazione; stesso dicasi, in caso di pagamento della maggior sostitutiva da articolo 176, comma 2-ter. Ancora una volta, purtroppo, le enunciazioni di principio (allineamento dei criteri fiscali di imputazione temporale con quelli contabili auspicato nella delega fiscale) devono cedere il passo ad un modus legiferandi che, lungi dal tutelare l'affidamento del contribuente, si piega a mere esigenze di gettito.
La possibilità di rivalutare fiscalmente i marchi d'impresa (affermata in via definitiva dall'amministrazione finanziaria solo quest'anno) rischia dunque di restare carta straccia se, come presumibile, a fronte di un notevole incremento dei “costi” della rivalutazione, molte imprese optassero per la revoca. D'altro canto, imporre, in via generale, un ammortamento in 50 anni non rappresenterebbe più una proxi fedele del depauperamento dei beni, come richiesto dai principi contabili, in barba allo sbandierato potenziamento della derivazione rafforzata, quale caposaldo della riforma fiscale in materia di reddito d'impresa. A ciò si aggiunga che, alla luce del recente orientamento di legittimità (Cassazione 8500/2021) che ha affermato che, per le componenti pluriennali, la decadenza dal potere di accertamento decorre dal termine per la rettifica della dichiarazione relativa al singolo rateo, i contribuenti sarebbero esposti ad un ancor più lungo rischio di accertamenti fiscali.
Il tempo per correggere tale disposizione c'è tutto. L'auspicio è che l'affidamento dei contribuenti e la certezza dei rapporti già costituiti possano essere fatti salvi. Se proprio le esigenze di gettito devono prevalere, allora vi sarebbero quantomeno i presupposti per una riduzione del periodo di ammortamento (ad esempio a non più di 33 anni, in linea con il caso degli immobili) o anche per l'applicazione in misura ridotta dell'imposta sostitutiva di cui all'articolo 176, comma 2-ter del Tuir. Mai come questa volta “in medio stat virtus”.
La speranza, però, ovviamente, è che la prossima stagione delle riforme, prima ancora di occuparsi delle norme sostanziali, sappia ridare certezza e credibilità al nostro sistema fiscale. Certezza e credibilità, ancora una volta, purtroppo, minate da un ripensamento tardivo da parte di un legislatore eccessivamente camaleontico.
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di Eugenio della Valle