Contabilità

Criptovalute, l’esterovestizione e l’esigenza di procedimenti chiari

di Enrico Holzmiller

Un fenomeno attualmente in forte espansione è rappresentato dalle Ico (Initial coin offering). Con le Ico è possibile raccogliere, in forma digitale, capitali per scopi imprenditoriali sulla base della tecnologia blockchain, con emissione di criptovalute o token.

L’esistenza di una disciplina precisa e chiara sul fenomeno è, allo stato, elemento essenziale per l’operatore che si voglia cimentare in tale attività. Basti pensare che vi sono varie tipologie di Ico e di token, e ad ogni tipologia corrisponde un inquadramento giuridico/finanziario differente. L’autorità federale elvetica di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) è stato uno dei primi organismi ufficiali a proporsi nella identificazione delle varie tipologie di Ico e token.

Secondo lo schema Finma, i token si suddividono in:

• token di pagamento o “criptovalute”: trattasi di mezzi di pagamento per l’acquisto di beni o servizi, oppure strumenti finalizzati al trasferimento di denaro e di valori;

• token di investimento: rappresentano valori patrimoniali, alla stregua (secondo un’accezione economica) di azioni, obbligazioni o strumenti finanziari derivati;

• token di utilizzo: permettono di accedere a un’utilizzazione o ad un servizio digitale forniti dietro utilizzo di una infrastruttura blockchain.

L’importanza di poter contare su un preciso inquadramento normativo diviene evidente laddove si consideri che, a seconda della tipologia, il token viene considerato o meno come valore mobiliare, con conseguente eventuale assoggettamento alle leggi sui mercati finanziari.

Tale necessità, unita all’esigenza di poter contare su un procedimento Ico chiaro e strutturato – sta spingendo molti operatori a spostarsi oltre il confine nazionale, in Paesi (non solo la Svizzera) caratterizzati da regole precise.

In tale contesto, non va sottovalutata la componente fiscale derivante dalla costituzione – da parte di soggetto italiano – di una società nel Paese straniero scelto per la Ico. Infatti, anche nel caso in cui detta costituzione fosse dettata da una reale esigenza extrafiscale, ovvero quella di affidarsi ad un regolamento Ico chiaro e certo, si potrebbero verificare spiacevoli conseguenze laddove la società stessa venisse gestita “di fatto” dall’Italia.

A tale riguardo, si ricorda l’articolo 73, comma 3, Tuir, che disciplina il fenomeno dell’esterovestizione: si tratta, com’è noto, di una disposizione tesa ad attrarre fiscalmente in Italia società od enti stranieri residenti all’estero, laddove detengano, nel territorio nazionale, almeno uno tra i seguenti tre elementi: sede legale, sede dell’amministrazione, oggetto principale dell’attività.

Il tema è delicato laddove i suddetti requisiti, ancorché formalmente definiti all’estero, vengano considerati dall’Amministrazione finanziaria “di fatto” esistenti in Italia: quando ciò avviene, scatta l’accertamento per omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e mancata tassazione dei redditi della società straniera, con conseguenze anche in ambito penale (articolo 5 del Dlgs 74/2000).

Tale disposizione antielusiva ha assunto, nel tempo, una precisa connotazione giurisprudenziale: valga ricordare, tra tutte, la “famosa” sentenza n. 43809/2015 (Dolce e Gabbana) secondo la quale, se la società estera non è una costruzione di puro artificio, ma esercita in loco un’attività economica effettiva con una propria struttura organizzativa (anche minima, purchè atta a perseguire l’oggetto sociale) la stessa non può dirsi esterovestita.

La giurisprudenza più recente ha inoltre precisato che non può considerarsi sufficiente – ai fini dell’attrazione fiscale sul territorio nazionale – l’attività strategica e di coordinamento generale effettuata in Italia.

Ecco quindi che, nel caso di una costituzione di società estera finalizzata a una Ico e correlata emissione di token, l’operatore nazionale – al fine di evitare ipotesi di esterovestizione – dovrà dotare la società di un referente locale (amministratore delegato o similare) avente poteri – non meramente formali – per seguire l’ordinaria attività, oltre ad una struttura in loco anche snella, purchè idonea ad operare. Lo stesso operatore nazionale potrà peraltro mantenere l’attività di direzione strategica in Italia, senza che questa attività possa far scattare l’attrazione fiscale in commento.

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