Professione

Condotta fraudolenta difficile da provare

di Giampiero Falasca

A tre anni dalla sua abrogazione (decisa dal Dlgs n. 81/2015) torna nell’ordinamento la “somministrazione fraudolenta”, una fattispecie da sempre molto controversa. Con questa nozione si fa riferimento alla condotta di due soggetti (agenzia per il lavoro e utilizzatore) che decidono di avvalersi della somministrazione di manodopera «con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore». La sanzione per tale condotta è di natura penale e consiste nell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.

La fattispecie è molto controversa perché una parte della dottrina la considera meramente ripetitiva del divieto di sottoscrivere un contratto in frode alla legge. Sul piano pratico, tuttavia, la somministrazione fraudolenta può costituire uno strumento valido per reprimere situazioni nelle quali il contratto di somministrazione viene utilizzato esclusivamente per uno scopo elusivo.

Il presupposto per l’applicazione della fattispecie è la volontà comune di utilizzatore e somministratore di fare un uso illecito del contratto di somministrazione. Questa volontà comune, affinché si consumi il reato, deve tradursi nell’aggiramento di un vincolo legale o contrattuale: non sarà facile, in concreto, riconoscere tale condotta. Potrebbe essere considerato fraudolento il ricorso alla somministrazione per far lavorare un dipendente durante il periodo di interruzione obbligatoria tra un contratto a tempo determinato e l’altro (il cosiddetto stop and go).

Un’altra ipotesi di possibile applicazione della fattispecie si potrebbe verificare nel caso di utilizzo della somministrazione per ovviare al superamento, da parte di un lavoratore, del periodo massimo di durata del rapporto di lavoro presso uno specifico utilizzatore.

Se questo lavoratore viene assunto alle dipendenze di un’altra agenzia, d’intesa con l’utilizzatore e allo scopo di azzerare il computo dell’anzianità lavorativa e riprendere una nuova missione, si corre il rischio di ricadere nella fattispecie, in quanto l’operazione produce il sostanziale aggiramento dei tetti di durata massima fissati dalla legge. Potrebbe cadere nelle maglie della condotta illecita anche l’ipotesi in cui, dopo un anno di rapporto di lavoro a tempo determinato diretto, un’azienda decidesse di stipulare un contratto di somministrazione per continuare ad avvalersi dello stesso lavoratore senza dover indicare la causale.

Meno problematica sarebbe l’ipotesi inversa, nella quale, dopo un primo rapporto in regime di somministrazione, l’azienda decidesse di proseguire mediante contratto a termine diretto. In un caso del genere, non si porrebbe il tema della somministrazione fraudolenta, il quanto il contratto utilizzato dalle parti per proseguire il rapporto sarebbe un ordinario rapporto di lavoro, senza la partecipazione dell’agenzia.

Tutti gli esempi appena visti si basano su valutazioni molto complesse, che dovranno necessariamente trovare un conforto della giurisprudenza; fino a quando non saranno formati orientamenti chiari e riconoscibili sulla materia, sarebbe opportuno avere un atteggiamento cauto verso tutte quelle operazioni che comportano, in via di fatto, l’allentamento dei vincoli legali e collettivi in tema di lavoro flessibile.

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