Diritto

Senza transazione fiscale il tentativo finisce con un concordato

Lo strumento rischia di essere solo l’anticamera dell’accordo di ristrutturazione o del concordato

di Giulio Andreani

L’istituto della composizione negoziata della crisi introdotto con il Dl 118/2021 sta suscitando, oltre a qualche inevitabile critica, vari apprezzamenti, ma un punto debole certamente lo presenta: quello di non consentire la formulazione di una proposta di transazione fiscale e contributiva.

Ne derivano tre conseguenze:

• attraverso tale istituto non sarà possibile ottenere una falcidia dei debiti fiscali che vada oltre la mera riduzione di sanzioni e interessi, né una dilazione di pagamento superiore a sei anni, né alcun tipo di beneficio relativamente ai debiti previdenziali e assicurativi;

• ogniqualvolta le imprese in crisi avranno debiti fiscali e contributivi rilevanti, cioè spesso, la composizione negoziata della crisi sarà destinata a rivelarsi uno strumento inadatto per risanarle;

• conseguentemente tale istituto potrà essere proficuamente impiegato solo nel caso in cui lo squilibrio finanziario sia lieve o sia comunque possibile provvedere al pagamento pressoché integrale dei suddetti debiti.

I motivi che escludono la possibilità di utilizzare, nell’ambito della composizione negoziata, la transazione fiscale e contributiva sono almeno tre:

1) nessuna delle norme introdotte dal Dl 118/2021 fa riferimento a tale istituto;

2) l’articolo 182-ter della legge fallimentare, che disciplina la transazione fiscale e contributiva, continua a prevederne l’utilizzo solo nel contesto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo;

3) l’amministrazione finanziaria, tranne che per effetto di provvedimenti straordinari come quelli relativi alle rottamazioni, non può rinunciare alla riscossione dei propri crediti al di fuori della transazione fiscale.

Lo conferma lo stesso decreto dirigenziale del ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, il quale prevede che l’esperto nominato per la composizione negoziata, nell’indicare l’esito delle trattative, può suggerire (evidentemente in presenza di debiti fiscali rilevanti) il ricorso alla transazione fiscale, che deve però essere attuata mediante un accordo di ristrutturazione dei debiti.

Si potrebbe obiettare che anche le norme introdotte dal Dl 118/2021, e non solo l’articolo 182-ter, prevedono dei benefici fiscali per le imprese in crisi. È vero, ma si tratta di benefici incomparabili con quelli discendenti dalla transazione fiscale e contributiva, per i seguenti motivi:

a) l’articolo 14 del Dl 118 consente, a prescindere dalla gravità della crisi, solo la riduzione delle sanzioni, in misura variabile dalla metà a due terzi, e degli interessi al tasso legale, ma nessuna falcidia dei tributi e dei contributi, che rappresentano la maggior parte dei debiti di cui trattasi;

b) la transazione fiscale e contributiva permette invece la riduzione di tutti i debiti fiscali e contributivi per importi da determinarsi in base alla situazione di ciascuna impresa, con l’unico limite posto dalla convenienza della proposta per l’Erario e dal divieto di trattamento dei crediti tributari;

c) l’articolo 14 limita la dilazione di pagamento a 72 mesi, mentre l’articolo 182-ter non impone limitazioni rigide e permette di dosare i tempi di pagamento a seconda delle necessità aziendali (anche oltre venti anni).

Ogni legge è il frutto di vari compromessi, ma senza transazione fiscale la composizione negoziata rischia di essere solo l’anticamera dell’accordo di ristrutturazione o del concordato, quanto meno in presenza di debiti fiscali rilevanti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©