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Carburante da autotrasporto, la Corte Ue riapre la partita sul rimborso dell’imposta regionale

Dai giudici del Lussemburgo il riconoscimento dell’incompatibilità con l’ordinamento comunitario

di Giorgio Emanuele Degani

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con ordinanza resa nella causa C-255/20 del 9 novembre 2021, ha statuito l’incompatibilità con l’ordinamento unionale, e in particolare la direttiva n. 2008/118/Ce e 92/12/Cee, della normativa italiana istitutiva dell’Irba (imposta regionale sulla benzina per autotrazione) per assenza di una finalità specifica attribuita dal legislatore alla stessa. In quanto tale, l’imposta va disapplicata e sussiste il diritto al rimborso.

L’imposta regionale del 1990

L’Irba, introdotta con la legge 158/1990 e con il Dlgs n. 398/1990, è una imposta indiretta non armonizzata propria delle Regioni a statuto ordinario, volta a colpire i consumi di carburante erogati dagli impianti di distribuzione, ivi compresi quelli destinati ad uso privato.

Trattandosi di una imposta indiretta essa rientra nel perimetro di applicazione della Direttiva 2008/118/Ce: questa, all’articolo 1, paragrafo 2, riconosce agli Stati membri la possibilità di applicare ai prodotti già sottoposti ad accisa armonizzata altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme comunitarie applicabili per le accise o per l’Iva in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta. In altri termini, gli Stati membri possono introdurre una ulteriore imposta indiretta sui prodotti già sottoposti ad accisa solo in presenza di una “finalità specifica”, configurando detta ulteriore imposta come una sorta di “imposta di scopo”.

Diritto di rimborso

I giudici del Lussemburgo hanno rilevato che il legislatore italiano non ha attribuito all’imposta in parola alcuna finalità specifica. Ed infatti, sarebbe ravvisabile unicamente un mero scopo generico di bilancio generale che, in quanto tale, non è idoneo a integrare i requisiti richiesti dalla direttiva (v., tra le tante, Cgue, causa C-553/13, 5 marzo 2015, Statoil Fuel & Retail).

Del resto, già nel luglio 2018, la Commissione europea ha avviato nei confronti dello Stato italiano la procedura di infrazione 2017/2114, chiedendo chiarimenti in ordine all’Irba, in quanto presuntamente in contrasto con il diritto euro-unitario: già all’epoca, la Commissione non ha rilevato alcuno scopo specifico attribuito all’Irba, con conseguente incompatibilità con l’ordinamento unionale.

Sulla scorta di tali considerazioni, si riscontrano anche sentenze di merito (v. Ctr del Piemonte 53/6/2020, depositata in data 14 gennaio 2020, con sentenza e commento pubblicati su Nt+Fisco) che, rilevando l’assenza di un nesso diretto tra l’uso del gettito e la finalità attribuita all’Irba, hanno riconosciuto l’incompatibilità della stessa con l’ordinamento eurounitario, disapplicando la normativa nazionale contrastante.

Sebbene l’Irba sia stata abrogata con la legge di bilancio per l’anno 2021 (articolo 1, comma 628 e seguenti, legge 30 dicembre 2020, n. 178), facendo salvi per il passato gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte, la pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea riapre lo scenario: l’interpretazione conforme del diritto interno rispetto a quello unionale comporta che il secondo prevalga sul primo in caso di contrasto, con la conseguenza che anche i rapporti passati dovranno essere messi nuovamente in discussione.

Del resto, la Corte di giustizia ha rilevato che l’incompatibilità sussiste anche in virtù dell’equivalenza normativa tra l’articolo 1, paragrafo 2, Direttiva. 2008/118/Ce e l’articolo 3, paragrafo 2, Direttiva 92/12/Cee: le disposizioni recano il medesimo obbligo di attribuire uno scopo determinato alle imposte ulteriori e autonome rispetto all’accisa; da ciò consegue che non solo per il periodo di vigenza della Direttiva 2008/118/Ce, ma anche per quello relativo alla Direttiva 92/12/Cee l’Irba era incompatibile con il diritto europeo.