Il CommentoImposte

Crediti d’imposta ricerca e sviluppo, la Cassazione dà la linea a Entrate e contribuenti

di Enrico De Mita

La più recente giurisprudenza della Corte Suprema, civile e penale, ha portato nuova luce sulla corretta distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e crediti d’imposta esistenti ma non spettanti. Si tratta delle sentenze civili n. 34444 e 34445 del 16 novembre 2021 e penali nn. 7613, 7614 e 7615 del 21 gennaio scorso.

Avevo già evidenziato che, specialmente in una materia così percorsa da incertezza interpretativa e da apprezzamenti tecnici qual è R&S, sul piano penale l’errore interpretativo non può integrare un fatto costitutivo di un’attività fraudolenta (sanzionabile in base al Dlgs 74/2000).

La Sezione Tibutaria della Cassazione, con le sentenze 34444 e 34445, depositate il 16 novembre 2021, ponendosi in espresso contrasto con i precedenti della stessa Corte (Cassazione 10112/2017, 19237/2017, 24093/2020 e 354/2021), ha chiarito che nel nostro ordinamento sussiste la dicotomia tra credito esistente non spettante e credito inesistente.

L’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000 risulta articolato in due ipotesi distinte a seconda che vengano in rilievo «crediti inesistenti» ovvero «non spettanti». Ciò comporta – afferma la Cassazione, sezione III penale – una significativa divergenza sotto il profilo dell’elemento oggettivo e soggettivo. Credito non spettante e credito inesistente sono due fattispecie alternative. La nozione di credito inesistente si desume dall’articolo 13, comma 5°, del Dlgs 471/1997, novellato nel 2015, secondo cui si considera inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973 e all’articolo 54-bis del Dpr 633/1972. La Cassazione penale ribadisce che, per aversi credito inesistente, deve (a) mancare il presupposto costitutivo, quindi la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali e (b) l’inesistenza del credito non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dati in anagrafe tributaria. A contrario, la Suprema corte civile desume che, in mancanza di uno dei due predetti requisiti, siamo in presenza di un credito esistente ma non spettante.

Il credito inesistente è ancorato a una situazione non vera, non reale, priva degli elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza: il più ampio termine per la notifica dell’atto di recupero riguarda necessariamente una fattispecie più ristretta, evidentemente ritenuta più grave.

Il credito esistente ma non spettante, perciò, è totalmente distinto dal credito inesistente. L’inesistenza è descritta come credito effettivamente non reale, perché sorretto da documenti falsi, per esempio.

Come osservato dalla Suprema Corte con un’enfasi espressa sulla chiarezza del dettato normativo, «la normativa d’altronde è chiara, considerando che il legislatore ha previsto termini di accertamento diversi per le due ipotesi e due sanzioni distinte».

L’elemento soggettivo connota diversamente le due fattispecie contemplate nel primo e secondo comma dell’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000: l’inesistenza del credito è in sé, salvo prova contraria, indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente dell’artificiosa creazione della posta creditoria. Nel caso di crediti non spettanti occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non saranno utilizzabili in sede compensativa.

La Corte conferma l’impostazione che ho sostenuto, su queste colonne, in più interventi durante il 2021: è definitivamente superata la tesi che omologava inesistenza e non spettanza.

La sentenza 34444/21 ha concluso che, in tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza ottennale non presuppone l’utilizzo di un mero credito «non spettante». Presuppone, invece, l’utilizzo di un credito «inesistente», ossia, anche ai sensi dell’articolo 13, comma 5, terzo periodo, del Dlgs 471/1997, introdotto con l’articolo 15 del Dlgs 158/2015, il credito in relazione al quale manca in tutto o in parte il presupposto costitutivo (il credito non è «reale») e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973 e articolo 54-bis del Dpr 633/1972.

La Corte di cassazione, civile e penale, fa emergere con chiarezza quasi didascalica (inesistente vuol dire «non reale», fittizio) anche l’intento di indirizzo interpretativo generale per uffici e contribuenti.

Pensiamo al raddoppio del termine decadenziale di notifica degli atti di recupero all’ottennio dal relativo utilizzo; all’applicazione della sanzione (100% - 200% del credito inesistente ex articolo 13, comma 5°, del Dlgs 471/1997); alla triplicazione della sanzione penale per il reato tributario di indebita compensazione ex articolo 10-quater del Dlgs 74/2000; all’inapplicabilità della definizione agevolata (articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del Dlgs 472/1997).

Si aggiorna la posizione assunta dalla Corte di cassazione che avevo criticato perché, nel recente passato, volta a far coincidere il concetto di «credito non spettante» rispetto a quello di «credito inesistente» (Cassazione 29717/2020).

L’inesistenza afferisce all’area della frode, della falsità, della non realtà, alla qualificabilità della condotta del contribuente in termini di attività fraudolenta.

Le pronunce in commento riaffermano la centralità del principio di legalità e, nella sua attuazione, la realizzazione del principio di eguaglianza sostanziale, di cui all’articolo 3, comma 2°, della Costituzione, a partire da un contraddittorio che, in materia di ricerca e sviluppo, è coessenziale alla complessità e multidiscipliarietà della materia tecnico-tributaria della ricerca e sviluppo.