Imposte

Fringe benefit con dubbio sulla quota di detraibilità dei figli

La quota dello zero, 50 o 100% dovrebbe essere ininfluente rispetto alla nuova soglia di 3mila euro

di Stefano Sirocchi

Nonostante il nuovo limite di esenzione fiscale dei fringe benefit pari a 3mila euro per i dipendenti con figli a carico sia già in vigore (articolo 40 del Dl 48/2023), sarebbe utile che in fase di conversione della norma fosse meglio precisato il perimetro di applicazione della stessa.

La deroga all'ordinaria soglia di non imponibilità dei valori relativi alle erogazioni in natura di 258,23 euro, stabilità dall'articolo 51, comma 3, del Tuir, e dunque l'applicazione del limite complessivo di 3mila euro, riguarda il periodo di imposta 2023 e i lavoratori dipendenti con figli, compresi quelli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, «che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 12, comma 2, del Tuir». Differentemente dalla soglia di 258,23 euro, il nuovo tetto include anche le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche dell'acqua, dell'energia elettrica e del gas.

L'articolo 12, comma 2, del Tuir individua le condizioni che devono essere rispettate dai familiari per poter essere fiscalmente a carico. In sostanza, i figli devono possedere «un reddito complessivo, computando anche le retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, nonché quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente da essa e dagli enti centrali della Chiesa cattolica, non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili. Per i figli di età non superiore a ventiquattro anni il limite di reddito complessivo di cui al primo periodo è elevato a 4.000 euro».

Qualche dubbio riguarda la possibilità che l'incremento del limite a 3.000 euro possa essere fruito indipendentemente dalla percentuale di attribuzione ai genitori della detrazione per i figli a carico (100%, 50%, zero). Letteralmente, ma in attesa di conferme ufficiali, i dipendenti con figli che possiedono redditi inferiori ai citati limiti rientrano nell'agevolazione a prescindere se gli stessi possono fruire della detrazione. Di conseguenza due genitori, se lavoratori dipendenti con almeno un figlio a carico, dovrebbero poter beneficiare ciascuno della soglia innalzata a 3.000 euro, portando il vantaggio complessivo per la famiglia fino a 6.000 euro.

Non è invece certamente possibile superare la soglia di 3mila euro per dipendente, nè tantomeno raddoppiarla, neppure qualora nel periodo di imposta si abbiano più datori di lavoro, come nel caso del cambio occupazione o qualora si svolgano due part time contestuali. Anche la deroga, come la soglia ordinaria, infatti, fa riferimento al limite complessivo annuo relativo al reddito del lavoratore. In questi casi, ai fini della corretta applicazione dell'agevolazione e delle ritenute, il datore di lavoro che eroga i benefit dovrà essere informato dal dipendente su eventuali altre liberalità in natura ricevute o da ricevere da altri datori, con l'indicazione del relativo valore.

Operativamente, questo dato può essere prospettico, e fornito in base a una previsione del lavoratore, cui dovrebbe seguire una ulteriore autodichiarazione a consuntivo contenente il dato definitivo. Peraltro, come richiesto dalla disciplina, il dipendente, oltre a dichiarare al datore di lavoro di avere diritto al beneficio, dovrà indicare il codice fiscale dei figli fiscalmente a carico.

Infine, nella nota di lettura realizzata dal Servizio del bilancio del Senato, si evidenzia che la relazione tecnica del decreto non considera gli effetti sul gettito contributivo dell'innalzamento del limite a 3mila euro. E quindi, anche a fronte di quanto avvenuto con il bonus carburante (decreto legge 5/2023), sarebbe utile chiarire al più presto se la nuova disposizione rileverà o meno ai fini contributivi.

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