Il CommentoControlli e liti

Esecuzioni esattoriali, i nodi della motivazione e della ragionevolezza

di Enrico De Mita

La ripresa dell’economia ha segnato anche la ripresa dell’attività di riscossione da parte degli agenti della riscossione. La semplificazione del pignoramento diretto ex articolo 72-bis del Dpr 602/1973 non può rappresentare deroga alle garanzie fondamentali, equivalendo in toto a un pignoramento.

Come ho già evidenziato (si veda l’articolo di Nt+ Fisco), i nuovi modelli di cartella di pagamento coesistono con i residuati delle vecchie cartelle, lasciando intimati i vecchi «oneri di riscossione» esattoriali, almeno finché un giudice attento non rimetta alla Corte la questione di legittimità costituzionale per i carichi affidati fino al 31 dicembre 2021.

Nell’attuale ordinamento è manifestamente illegittimo trattare diversamente fattispecie identiche: dal 1° gennaio 2022 coesistono arbitrariamente, a fronte di identiche situazioni, l’una nata prima, la seconda concretizzatasi con l’affidamento del carico post 1° gennaio 2022, atti esecutivi con aggio e atti esecutivi senza aggio, benché entrambi notificati dopo il 1° gennaio 2022.

Si tratta di una mistificazione legislativa dell’invito che la Corte aveva formulato con la sentenza 120/2021 e che, a mio avviso, dovrà portare alla declaratoria di incostituzionalità della disciplina dettata dall’articolo 1, commi 15-16-17, della legge di Bilancio 2022 che ha sostituito l’articolo 17 del Dlgs 112/1999 (legge 234/2021). Rientra a pieno titolo nell’irragionevole esercizio del potere discrezionale una disposizione che, ai sensi del citato articolo 1, commi 16 e 17, della legge 234/2021, preveda la rimozione dell’aggio esattoriale a decorrere dal 1° gennaio 2022 mentre, per i carichi affidati fino al 31 dicembre 2021, gli oneri di riscossione continueranno ad essere dovuti nella misura e secondo le ripartizioni previste dalle disposizioni di legge vigenti alla data di entrata in vigore della legge. Tale questione interessa sia il Giudice tributario che il Giudice civile quale giudice dell’esecuzione e soprattutto delle opposizioni agli atti esecutivi e all’esecuzione.

Ora se è inspiegabile tale disparità di trattamento, e potrà rimediarvi la Corte, spesso è anche inintellegibile la pretesa formula della cartella di pagamento. Sembra che tale atto sia garantito dalla conformità ai modelli, quasi che significasse, di per sé, validità ed efficacia. Correttamente la questione è rimessa alle Sezioni Unite (31960/2021): individuazione e quantificazione della pretesa intimata devono essere esplicitate a beneficio del contribuente.

La cartella di pagamento, anche al di fuori dei casi indicati dalla Suprema Corte, deve essere motivata in ordine al criterio utilizzato per la quantificazione degli interessi richiesti per la prima volta con tale atto, delle sanzioni, degli oneri, dal momento che il contribuente dev’essere messo in grado di verificare la correttezza dei calcoli proposti dall’ufficio.

A ben vedere lo stesso principio che corrisponde alla medesima esigenza vale per gli atti di pignoramento cosiddetti esattoriali.

Questi oggi si riducono all’indicazione unitaria e unica del capitale, degli interessi, degli oneri di riscossione (sanzione civile sospetta di manifesta illegittimità costituzionale) e delle spese di notifica senza alcuna indicazione dalla quale evincere come la somma definitivamente intimata sia stata calcolata e riportata nell’atto esecutivo notificato.

A ben vedere, il primo referente normativo per il predicato di nullità è l’articolo 21-septies della legge 241/1990, mancando gli elementi essenziali riferiti al tributo e ai suoi accessori. Valga, al riguardo, la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione in punto di chiarezza della motivazione, a tutela dell’esercizio del diritto di difesa ex articolo 7, comma 1, della legge 212/2000.

Questa carenza, nella contingenza attuale, è aggravata dall’intervento di piani di rateizzazione di cui gli atti esecutivi non danno minimamente conto.

Si apre così la necessità di una sospensione cautelare davanti dal Giudice dell’esecuzione, in modo che l’ufficio possa chiarire la sua pretesa, non potendosi – de iure condito – trincerarsi dietro la correttezza del modello di atto utilizzato.

Il contribuente deve poter controllare la portata delle somme intimate. L’ufficio non può integrare i suoi atti, a fortiori quelli esecutivi, in sede processuale.

La motivazione dell’atto definisce le ragioni della pretesa e attiva il diritto di difesa del contribuente.

Anche il pignoramento diretto, disimpegnandosi dalla garanzia della presenza del giudice dell’esecuzione (articolo 543 e seguenti del Cpc), non può valere come deroga tautologica all’obbligo di esposizione compiuta della pretesa tributaria.