Poche norme che servono davvero al fisco d’impresa
Nel dibattito pubblico sulla riforma fiscale il grande assente è il reddito di impresa
Nel dibattito pubblico sulla riforma fiscale il grande assente è il reddito di impresa. Si discute di aliquote Irpef, detrazioni, flat tax, persino di imposte di successione, ma spesso si dimentica che urge una revisione delle modalità di tassazione dei redditi prodotti dal cuore del sistema produttivo. Il sistema impresa ha bisogno di modifiche normative e semplificazioni per rendere accettabile il carico tributario e la gestione della burocrazia fiscale. Gli interventi necessari possono essere raggruppati in tre filoni principali.
1. Imposte. Da troppi anni il sistema soffre la presenza dell’Irap e del suo corpus normativo e interpretativo sempre più vasto e pesante con regole ad hoc. Come più volte ribadito, la soluzione più semplice è la soppressione totale di questa imposta e la sua sostituzione con un’addizionale regionale Ires (o Irpef) da applicare al reddito imponibile aumentato degli interessi passivi e di una quota del costo del lavoro. Se la base imponibile determinata in questo modo, a livello macro, è molto più alta o molto più bassa di quella attuale, si può sterilizzare l’effetto rimodulando l’aliquota: il Mef e le Regioni hanno gli strumenti e le informazioni per completare un’analisi preventiva.In tema di redditi, è arrivato il momento di rivedere la disciplina delle società di comodo (è del 1994), ripensando a regole e coefficienti. È difficile ipotizzare, infatti, che il rendimento degli immobili e degli altri asset sia quello previsto dalle norme. Anche le norme sulle società in perdita sistematica dovrebbero essere riconsiderate.
2. Semplificazioni. Con l’introduzione del principio di derivazione rafforzata, l’imponibile si è avvicinato sempre più al risultato del bilancio civilistico. Si possono però modificare altre norme che continuano a generare doppi binari, variazioni in dichiarazione, calcoli di imposte differite e complicazioni gestionali: si pensi alla deduzione di marchi e avviamenti che a livello fiscale deve avvenire in un arco di 18 anni, cioè con una durata che stride con la realtà economica e con le scelte che devono essere prudentemente adottate in bilancio.Andrebbero poi abolite le norme che disciplinano in modo analiticamente minuzioso la deduzione di certi costi: si pensi ad esempio alle auto aziendali, per le quali il vero problema in azienda è il costo della gestione fiscale più che la deduzione limitata. I costi dei beni suscettibili di impiego promiscuo dovrebbero semplicemente essere deducibili fino a una percentuale del volume dei ricavi. Si può ragionare sui singoli beni o addirittura ipotizzare un limite percentuale unico per l’universo di questi beni (immobili, auto, telefonini, e così via).
3. Agevolazioni. Servono poche norme, ma chiare, di stimolo per chi assume, investe e cresce. Esaurita l’ondata dei contributi a fondo perduto post Covid, sarebbe il caso di mettere mano al sistema degli incentivi e produrre una sorta di “testo unico” per la loro applicazione, in modo che le regole di utilizzo, cessione e accertamento dei crediti di imposta siano identiche per tutte le tipologie. Infine, sarebbe ora di prevedere un vero meccanismo di incentivo per le aggregazioni aziendali. Se, come si dice da anni, si vuole stimolare la crescita dimensionale delle imprese, bisogna concedere bonus che non siano impalpabili (come il riconoscimento gratuito di avviamenti deducibili in 18 anni) o troppo mirati a singole realtà per essere applicati da tutte le imprese (la trasformazione delle imposte anticipate sulle perdite fiscali).Sottolineiamo che l’impatto finale di tutti questi interventi non si concretizza per forza in una riduzione generalizzata del prelievo: il primo obiettivo è ridurre per le imprese i tempi e i costi della gestione degli aspetti fiscali della loro vita.
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di Eugenio della Valle