Diritto

L’avvocato generale Ue boccia la Commissione sui ruling Lussemburgo

Chiesto l’annullamento di due procedure: valicati i limiti della giurisdizione

di Alessandro Galimberti

La Commissione europea non svolge le funzioni di ufficio tributario nazionale di ultimo grado, e né il Tribunale europeo né la Corte di giustizia sono la “cassazione” tributaria, perché questo «inciderebbe sull’autonomia fiscale degli Stati membri nel settore delle imposte non armonizzate».

Con lunghe e argomentatissime conclusioni l’avvocato generale Juliane Kokott ha chiesto alla Corte Ue di annullare in un colpo solo la sentenza del Tribunale T516/18 e T 525/18 del 2021 e la decisione della Commissione del 20 giugno 2018 relativa ai presunti aiuti selettivi del Lussemburgo a favore della multinazionale francese Engie.

I fatti censurati per due volte da Bruxelles riguardavano interventi di ristrutturazione societaria del 2009 e del 2016 entrati in un ruling che, secondo la Commissione, avrebbe garantito la quasi totale non imponibilità degli utili realizzati nell’operazione: participation exemption per le società madri e base imponibile concordata (molto) verso il basso per le società figlie. Quanto bastò, all’epoca, per aprire un doppio versante sull’aiuto selettivo per deroga alla normativa tributaria nazionale (principio in realtà ricavato in via interpretativa da Bruxelles) e comportamento omissivo in materia di prevenzione degli abusi del diritto.

Mentre il Tribunale europeo si era perfettamente allineato alla Commissione, nel nuovo ricorso l’avvocato generale apre, tra gli altri, un fronte importante sui limiti della giurisdizione, e prima ancora sui poteri dell’ amministrazione fiscale unionale nei tributi non armonizzati. Per l’avvocato Kokott «gli Stati membri sono liberi di istituire il sistema impositivo che ritengono più idoneo (...) anche per il settore degli aiuti di Stato», comprese la costruzione dell’imposta e «la determinazione della sua base imponibile e del suo fatto generatore». Perché il tema qui è un altro, scrive l’AG: i limiti del potere discrezionale degli Stati «vengono superati se gli Stati membri abusano della propria legislazione fiscale» per concedere vantaggi a singole imprese «eludendo la normativa in materia di aiuti di Stato», come nel caso «di una configurazione manifestamente incoerente della normativa tributaria».

Quindi, per evitare qualsiasi sconfinamento nella competenza esclusiva degli Stati membri in materia di fiscalità diretta, «l’esistenza di un vantaggio ai sensi dell'articolo 107 Tfue può essere verificata soltanto alla luce del contesto normativo tracciato dal legislatore nazionale nell’esercizio effettivo di tale competenza» e confrontare questo con il ruling (che nel caso specifico era anche trasparente). Tanto per essere chiari, «la Commissione si è fondata, invece che sul diritto tributario nazionale vigente, su un regime tributario forse preferibile, ma in definitiva fittizio».

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