Imposte

Ampliare la base imponibile dell’Irpef, erosa nel tempo

di Massimo Bordignon

L’Irpef, il principale tributo italiano, versa ormai in condizioni tali da rendere una riforma non più procrastinabile. Ma proprio per la sua importanza e i suoi collegamenti con molti altri aspetti del sistema tributario, c’è da chiedersi se non si dovrebbe sfruttare l’occasione per una riforma ancora più ampia.

In termini di tax design, infatti, il principale problema del sistema fiscale italiano, a cui l’Irpef pesantemente contribuisce, è il peso eccessivo sui redditi da lavoro; siamo al terzo posto in Europa in termini di aliquota effettiva di imposta (il 42% contro una media del 36%), ma solo al venticinquesimo per la tassazione dei consumi. Questo non solo riduce occupazione e crescita, ma è preoccupante per la tenuta del gettito futuro, stante la continua riduzione dei redditi da lavoro su quelli totali: la Corte dei conti stima che i primi costituiscano ora soltanto il 52% del Pil italiano, mentre erano il 65% negli anni ’70.

Una ricomposizione del prelievo dal lavoro ai consumi e alle imposte ambientali avrebbe l’effetto sia di stimolare la crescita che di spingere verso la transizione energetica. Inoltre, un impegno riformatore più ampio avrebbe anche l’effetto di consentire più facilmente compensazioni. Per esempio, un incremento dell’Iva potrebbe avere effetti regressivi; questi effetti, tuttavia, scomparirebbero con una riduzione dell’Irpef sui redditi medio bassi.

Per quel che concerne l’Irpef, il dibattito politico si concentra tutto sulle aliquote. Ma questo è logicamente l’ultimo dei problemi. Il primo è la base imponibile del tributo. Nata come imposta generale sui redditi, l’Irpef è stata progressivamente svuotata, eliminando in modo arbitrario dalla sua base imponibile cespiti e redditi vari e sottoponendoli a tassazione cedolare, oltretutto con aliquote tutte diverse tra loro. Per questo, e anche per l’effetto della forte evasione, soprattutto dei redditi da lavoro autonomo (il 68% dei quali sono evasi, secondo le stime ufficiali), l’Irpef è ormai quasi esclusivamente un’imposta sui redditi da lavoro dipendente e assimilati, che costituiscono ora l’84% circa della base imponibile e generano l’81% del gettito. Come se non bastasse, il legislatore ha pensato bene di introdurre una pletora di altre agevolazioni, in continua crescita e spesso a vantaggio di interessi molto settoriali. Sono 256 le spese fiscali a valere sull’Irpef (Corte dei conti), con l’effetto di rendere incredibilmente complesso il tributo e di condurre a rilevanti perdite di gettito (attorno al 20-25% del totale).

Ovvio che il primo intervento dovrebbe tendere a una razionalizzazione e ricomposizione della base imponibile del tributo, incluse le spese fiscali. La proposta più gettonata è quella di adottare un approccio da “reddito duale”, limitando la progressività ai soli redditi da lavoro e sottoponendo tutti i redditi da capitale (dividendi, plusvalenze, interessi) a una comune aliquota proporzionale, vicina a quella minima dell’Irpef (ora 23%) per evitare arbitraggi fiscali. Si tratta di un’ipotesi complessa ma tecnicamente fattibile. Le difficoltà principali sono di ordine politico, perché il modello del duale richiederebbe di riportare nella base imponibile Irpef alcuni redditi ora esclusi e di identificare un reddito nozionale del capitale anche per gli immobili e per i redditi dei lavoratori autonomi, ora sottoposti a tassazione più favorevole.

Per quello che riguarda il livello di progressività, si tratta di una scelta politica che è bene lasciare al Parlamento. Ma si noti che l’Irpef è già un’imposta fortemente progressiva: comprendendo anche gli incapienti, il 79% dei contribuenti dichiara meno di 28.000 euro (il secondo scaglione) e contribuisce a circa il 30% del gettito complessivo, mentre solo il 2,5% dichiara più di 75.000 euro (l’ultimo scaglione) e genera quasi lo stesso gettito (il 27%).

Il problema è che questa progressività è ottenuta attraverso un ginepraio di aliquote crescenti, no tax area differenziate, detrazioni decrescenti, un bonus che è un sussidio ma che è attribuito in corrispondenza del reddito lordo da lavoro dipendente. In più, la presenza del bonus produce aliquote marginali effettive di imposta che tendono a essere molto elevate in corrispondenza dei redditi medio bassi.

Sarebbe possibile rivedere e semplificare il sistema, mantenendo la stessa struttura di progressività ed eliminando i salti nelle aliquote marginali, sia con un sistema a scaglioni e detrazioni fisse che con un sistema “continuo” alla tedesca.

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