Diritto

Ripubblicare video online è concorrenza sleale: può sottrarre pubblicità

La Cassazione dà una lettura dinamica della nozione di comunanza di clientela. Tv e testate web si rivolgono potenzialmente agli stessi inserzionisti digitali

La pubblicazione online (non autorizzata) di contenuti audiovisivi di un altro soggetto è un atto di concorrenza sleale, più che una violazione del diritto d’autore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 8270 del 14 marzo scorso ha ribadito l’interpretazione dinamica del concetto di «comunanza di clientela», requisito indispensabile per far scattare la concorrenza sleale, applicandolo in maniera innovativa nell’industria della pubblicità digitale.

Per l’applicazione della normativa sulla concorrenza sleale non è necessario che due imprese siano fra loro direttamente concorrenti in un dato momento e, quindi, con il medesimo target di riferimento.

È sufficiente che possano diventarlo in futuro in base all’evoluzione delle attività da esse svolte e al fatto che i loro prodotti o servizi potrebbero – sempre in futuro - finire per soddisfare gli stessi bisogni del medesimo target (nel caso esaminato, individuato negli inserzionisti pubblicitari online).

Il fatto e l’inquadramento

Con questa sentenza la Corte di Cassazione ha posto fine a una lite decennale relativa alla pubblicazione online da parte del gruppo editoriale Gedi di estratti di contenuti audiovisivi di RTI (Reti Televisive Italiane).

RTI aveva citato in giudizio Gedi per violazione dei diritti di d’autore che le spettavano, sia come emittente radiotelevisiva (articolo 79 della legge sul diritto d’autore), sia quale produttore (articolo 78ter della stessa legge).

La Cassazione, nel confermare l’illiceità della condotta di Gedi ha, però, fornito interessanti spunti sull’inquadramento della fattispecie. Secondo la Corte, la condotta del gruppo editoriale era da qualificarsi come atto di concorrenza sleale (articolo 2598 n. 3 del Codice civile) più che come atto in violazione dei diritti d’autore. Le conseguenze di tale ricostruzione non sono di poco conto.

Secondo la Cassazione, dal (corretto) inquadramento dei fatti nel solo perimetro dell’illecito concorrenziale consegue infatti che «le questioni della violazione o meno delle norme sul diritto d’autore connesse alla privativa sulle opere, così come la sussistenza delle relative esimenti, divengono del tutto irrilevanti». La Suprema Corte, discostandosi dal tribunale e dalla Corte d’appello, non si esprime quindi sull’applicabilità delle eccezioni al diritto d’autore previste dall’articolo 65 della legge sul diritto d’autore, relativo alla libera riproduzione per motivi di cronaca, e dall’articolo 70, sulla libertà di citazione per fini di critica o discussione.

La comunanza di clientela

L’aspetto centrale della pronuncia della Cassazione è il focus sul concetto di «comunanza di clientela», la cui sussistenza era stata contestata dalla testata online.

La Cassazione aveva già affermato che «la comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato» (Cassazione 12364/2018) e, ancor prima (sentenza 17144 /2009) aveva già stabilito che «la comunanza di clientela […] va verificata anche in una prospettiva potenziale».

Con la sentenza 8270/2022, la Corte applica, per la prima volta, questi principi al mondo della pubblicità digitale, ritenendo «quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico» che testate editoriali online e reti Tv abbiano della clientela (potenziale) in comune: gli inserzionisti pubblicitari.

Interessati a dare visibilità ai propri prodotti ai consumatori di contenuti audiovisivi, gli inserzionisti pubblicitari possono rivolgersi per l’acquisto di spazio promozionale sia alle testate web, sia alle reti Tv.

Queste ultime, infatti, hanno spesso pagine o piattaforme web proprietarie per mettere a disposizione i propri video online e dare visibilità pubblicitaria, e non debbono vedersi sottratta o pregiudicata tale possibilità di sfruttamento dalla pubblicazione non autorizzata dei propri contenuti ad opere delle testate web.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©