Il CommentoImposte

Nella tassazione del trust va chiarito il trattamento per il terzo apportatore

Si attende la versione finale della circolare delle Entrate pubblicata in bozza

di Andrea Vasapolli

Il nuovo orientamento interpretativo dell’agenzia delle Entrate in tema di trust, che recepisce l’interpretazione consolidatasi della Corte di cassazione secondo la quale il presupposto impositivo, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, si realizza non nel momento in cui il patrimonio viene trasferito al trust bensì a quello in cui lo stesso viene definitivamente devoluto ai beneficiari, pone gli operatori di fronte alla necessità di affrontare nuove e significative problematiche fiscali.

Tra queste una di particolare rilievo è rappresentata dal caso in cui il soggetto che ha apportato il patrimonio al trust sia diverso dal disponente che lo ha istituito.

Secondo quanto correttamente indicato nella bozza di circolare in tema di trust pubblicata in consultazione dall’agenzia delle Entrate, nel momento in cui il patrimonio viene attribuito ai beneficiari e si rende quindi dovuta l’imposta sulle donazioni, ai fini della determinazione delle aliquote e delle relative franchigie, occorre far riferimento al rapporto di parentela intercorrente tra il disponente e il beneficiario.

Tale affermazione, in sé corretta, è tuttavia valida nel solo caso in cui il patrimonio sia stato attribuito al trust per intero dallo stesso disponente. In verità qualunque soggetto diverso dal disponente può incrementare il fondo in trust, aderendo alle finalità dello stesso e potendo decidere in merito alla destinazione dei beni così apportati, prevedendo ad esempio che gli stessi vadano a favore di solo alcuni dei beneficiari.

Il soggetto diverso dal disponente che apporta patrimonio in trust viene usualmente definito “terzo apportatore” e nella prassi sovente è un parente del disponente, se non uno degli stessi beneficiari. Si pensi al caso in cui un/a figlio/a apporti patrimonio in un trust istituito dai genitori del quale egli stesso è un beneficiario.

Ovvero ancora, ad esempio, ad un trust istituito da dei genitori con beneficiari i loro figli, al quale un/una zio/a apporta ulteriore patrimonio che così andrà a beneficio dei nipoti.

Il trust, pertanto, può anche essere lo strumento per mezzo del quale il terzo apportatore realizza una liberalità a favore dei beneficiari del trust.

Nel momento in cui il patrimonio viene definitivamente attribuito ai beneficiari, realizzandosi così il presupposto impositivo dell’imposta sulle successioni e donazioni, riteniamo che ai fini della determinazione delle aliquote e delle franchigie applicabili sia necessario distinguere tra:

O il patrimonio che in origine era stato trasferito al trust dal disponente, con riferimento al quale è corretto che rilevi il rapporto di parentela tra il disponente ed i beneficiari, e

O il patrimonio che in origine era stato trasferito al trust da un terzo apportatore, con riferimento al quale, invece, riteniamo che debba rilevare il rapporto di parentela tra tale terzo apportatore ed i beneficiari.

Coerentemente con le indicazioni contenute nella bozza di circolare dell’agenzia delle Entrate in relazione alla distinzione tra le attribuzioni di patrimonio o di reddito, riteniamo inoltre che in sede di attribuzione ai beneficiari per distinguere se il patrimonio agli stessi devoluto sia parte di quello apportato dal disponente ovvero di quello apportato dal terzo apportatore debbano avere rilievo le evidenze delle decisioni assunte dal trustee e le evidenze contabili formate dallo stesso.

Auspichiamo che la versione finale della circolare sui trust pubblicata in bozza prenda atto di tale problematica e della differenziazione di aliquote e franchigie applicabili che deve necessariamente conseguire alla diversa natura di chi ha apportato il patrimonio in trust.