Finanza

Beneficiario effettivo, opportuno il rinvio alla Corte di giustizia Ue

La Suprema Corte è tornata sulla direttiva Interessi e royalties

di Gianluigi Bizioli

Con l’ordinanza 14905/2023, la Cassazione affronta nuovamente uno dei profili più oscuri (e sottovalutati) delle cosiddette «sentenze danesi». Al paragrafo 94 della sentenza relativa alla direttiva Interessi e royalties, la Corte UE ha infatti affermato che il fatto che il percettore degli interessi non sia il beneficiario effettivo non esclude l’applicabilità dell’esenzione prevista dalla direttiva quando il reddito sia corrisposto «ad un beneficiario effettivo stabilito nell’Unione che risponda peraltro a tutti requisiti indicati dalla direttiva 2003/49 ai fini del beneficio dell’esenzione». In altre parole, la Corte ritiene applicabile alla direttiva un approccio look-through allorché siano soddisfatti «tutti i requisiti» previsti dalla direttiva.

È apparso immediatamente evidente che il problema di questa soluzione interpretativa era rappresentato dal requisito della partecipazione diretta, previsto dall’articolo 3(b) della direttiva e riprodotto dall’articolo 26-quater, comma 2, del Dpr 600/1973 e che la sola possibilità per dare effettività alla posizione giurisprudenziale era leggere il paragrafo nel senso che la direttiva è applicabile se sono soddisfatti tutti i requisiti salvo quello della partecipazione diretta. Vero è che vi sarebbero casi in cui tale interpretazione sarebbe applicabile, quando la holding detiene una partecipazione sia nella sub-holding, sia nella società che paga gli interessi, ma tali situazioni non corrispondono alla prassi economica dei gruppi strutturati verticalmente. In definitiva, o si esclude che la partecipazione diretta abbia rilevanza nell’applicazione della direttiva nel caso di look-through approach, oppure tale paragrafo resta sostanzialmente lettera morta.

La Cassazione è intervenuta sulla questione prima con la sentenza 24297/2019, il cui testo è stato letteralmente riprodotto da una serie di pronunce di inizio 2023 (fra cui, 6005 , 6067, n. 6065, 6061, 6050 e 6067) e poi con la più recente ordinanza 14905/2023.

Rispetto alle pronunce precedenti, che giustificavano l’interpretazione restrittiva delle «sentenze danesi» alla luce di argomenti antiabuso e agevolativi, la recente ordinanza si limita a richiamare la «natura agevolativa» della direttiva e dell’articolo 26-quater del Dpr 600/1973. In effetti, il richiamo di finalità antiabuso per giustificare una lettura restrittiva non appare particolarmente fondato, anche solo osservando che le direttive in materia di imposizione diretta consentono agli Stati membri di adottare le disposizioni che ritengono più adeguate a prevenire comportamenti abusivi e, comunque, che il diritto UE dispone di un ampio e consolidato principio per affrontare tali situazioni.

L’argomento decisivo, il solo utilizzato nell’ordinanza n. 14905, è dunque quello della natura agevolativa. Se si assumono gli effetti prodotti, non vi è dubbio che l’esenzione costituisca un vantaggio rispetto all’applicazione del regime impositivo ordinario o convenzionale. Tuttavia, tale criterio non assume rilevanza al fine di valutare la natura di una disposizione.

La finalità della direttiva è quella di equiparare il trattamento fiscale degli interessi transfrontalieri con quello puramente interno, generalmente individuato come principio della «single taxation». La potestà impositiva esercitata dall’Italia al pagamento di interessi effettuato nei confronti di soggetti non residenti costituisce un prelievo giustificato esclusivamente dal principio di territorialità, non dalla capacità contributiva manifestata dal soggetto non residente. In questo senso, la rinuncia all’applicazione dell’esenzione non è espressione di alcuna finalità agevolativa, ma della costituzione e realizzazione del Mercato interno. Detto diversamente, permettendo l’applicazione della direttiva non si agevolano le società non residenti, ma si pongono queste ultime sullo stesso piano delle società residenti. Del resto, ciò si evidenzia anche nelle espressioni lessicali: alle disposizioni convenzionali o a quelle della direttiva ci si riferisce in termini di «beneficio», non di «agevolazione».

Tutto ciò detto, nell’ambito di quel sistema di giustizia integrato richiamato anche dalla Cassazione, sarebbe forse stato opportuno rinviare la questione per l’interpretazione pregiudiziale della Corte UE.

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