Imposte

Concordato preventivo, l’eventuale residuo attivo sconta la tassazione piena

La riduzione del debito beneficia del trattamento di favore solo per la parte strettamente derivante dall’omologa e non se originata dalle ulteriori vicende relative all’esecuzione del piano

di Claudio Ceradini

Falcidia solo in parte esente e tassazione piena dell’eventuale residuo attivo nel concordato preventivo sono i principi che si derivano dalla lettura della risposta a interpello 201/2022 delle Entrate. La riduzione del debito che l’omologazione di piano e proposta concordatari producono nei confronti della generalità dei creditori beneficerebbe del trattamento di favore previsto dall’articolo 88, comma 4-ter, del Tuir solo per la parte strettamente derivante dall’omologa, e non se originata dalle ulteriori vicende che interessano l’esecuzione del piano. L’avanzo, teorico, di liquidità che residuasse alla conclusione delle operazioni di riparto sarebbe invece totalmente tassabile.

Il caso esaminato

L’Agenzia si è pronunciata su una vicenda del tutto particolare, nella quale la fase esecutiva del piano concordatario, successiva all’omologa, si è protratta per oltre dieci anni. In quel contesto la procedura ha eccepito ai creditori la decorrenza dei termini di prescrizione decennale del debito che, secondo una certa e non univoca interpretazione giurisprudenziale, la procedura non interrompe, come invece accade nel fallimento. Ne sono derivate ulteriori riduzioni del debito rispetto a quelle contenute nella proposta omologata, concordate o giudizialmente accertate, per le quali le Entrate nella risposta negano l’applicabilità della esclusione da tassazione. In più, verrebbe secondo l’amministrazione finanziaria autonomamente tassata la liquidità che residuasse per effetto delle riduzioni del debito derivanti da accertamenti giudiziali della prescrizione e accordi con i creditori.

Sopravvenienza esclusa da tassazione

Entrambe le conclusioni presentano criticità. La sopravvenienza attiva costituita dalla riduzione del debito «in sede di concordato preventivo e fallimentare» è esclusa da tassazione con formula normativa volutamente ampia, che il legislatore ha voluto sin dall’origine allo scopo di favorire e non gravare l’esecuzione di piani di soluzione della crisi già molto dolorosi, ed escludendo la maturazione di un qualsiasi carico tributario sulla falcidia originata dal concordato in tutte le sue fasi, giudiziale ed esecutiva.

Del resto, è connaturata alla struttura della procedura una evoluzione progressiva del risultato, che nel piano e proposta ai creditori è rappresentata nei suoi prevedibili effetti, e che solo nell’esecuzione trova concretezza e definitività. E non è nemmeno necessario che si manifestino le particolari circostanze riferite nell’interpello perché, al contrario, è funzione precisa del liquidatore quella di verificare in fase esecutiva la misura e spettanza del debito, prima di provvedere al pagamento.

Soddisfazione commisurata agli esiti

Nei concordati liquidatori, peraltro, la proposta molto spesso offre ai creditori una soddisfazione dichiaratamente commisurata agli esiti della cessione degli asset, e che il piano provvede solo a stimare per consentire un voto informato, cosicché diverrebbe impossibile quantificare la riduzione del debito già all’omologa.

Concordato senza disciplina tributaria autonoma

Infine la tassazione dell’avanzo richiama più il fallimento e l’articolo 183 del Tuir. Il concordato non gode di autonoma disciplina tributaria, cosicché l’eventuale imponibile deriva solo dall’applicazione delle norme a regime, tra le quali non è certo prevista l’autonoma tassazione di residui di liquidità.

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