Il CommentoImposte

Esenzione Imu, l’effettiva esigenza della famiglia secondo la Carta

di Enrico De Mita

Nell’ordinanza 94, depositata il 12 aprile 2022 (redattore il giudice Luca Antonini), abbiamo letto le ragioni che la Corte costituzionale ha posto a sostegno della propria decisione di sollevare – con riferimento agli articoli 3, 31 e 53, primo comma della Costituzione – la questione di legittimità costituzionale della norma in materia di esenzione Imu.

Come noto e già appreso con il comunicato stampa del 24 marzo scorso (si veda l’articolo «L’Imu alla Consulta: il diritto tributario deve rifarsi alla Carta»), la Corte costituzionale ha sollevato dinanzi a sé questione di legittimità dell’articolo 13, comma 2, quarto periodo, del Dl 201/2011, come convertito nella legge 214/2011, e successive modifiche, là dove stabilisce che, per ottenere l’esenzione Imu, bisogna far riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale non solo del possessore dell’immobile ma anche dei componenti del suo nucleo familiare.

L’articolo 31 della Costituzione richiede di agevolare «la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi».

La disciplina in oggetto potrebbe dare vita per i nuclei familiari a «un trattamento deteriore rispetto a quello delle persone singole e delle convivenze di mero fatto».

Anche nella sintesi offerta dalla stessa Corte si richiamano quelle « esigenze effettive » che conducono i componenti di un nucleo familiare a stabilire residenze e dimore abituali differenti e che, ad un tempo, interferiscono, in chiave fondativa e confermativa, con la permanenza dell’esenzione dall’Imu sulle rispettive abitazioni principali.

L’esenzione dall’imposta non può legittimamente fondarsi sulla mera registrazione anagrafica che riduce un istituto di rango costituzionale – la tutela della famiglia – ad una certificazione burocratica. Né può ritenersi sufficiente il richiamo, oltre che alla residenza anagrafica, alla dimora abituale, oltre che del possessore dell’immobile, anche del suo nucleo familiare.

Il giudice formalmente remittente, la Ctp di Napoli, aveva chiesto di dichiarare incostituzionale solo la disposizione che, secondo un indirizzo giurisprudenziale spesso contraddittorio e non lineare, comunque apparentemente maggioritario, esclude per entrambi i coniugi, o i componenti dell’unione civile, l’esenzione dall’Imu per l’abitazione principale, qualora uno di essi abbia la residenza anagrafica in un immobile ubicato in un altro Comune.

Ora la Corte chiarisce che il riferimento al «nucleo familiare», contenuto nel quarto periodo della norma in oggetto, determina un trattamento diverso rispetto non solo alle persone singole ma anche alle coppie di mero fatto, «poiché, sino a che il rapporto non si stabilizza nel matrimonio o nell’unione civile, la struttura della norma consente a ciascuno dei partner di accedere all’esenzione della loro, rispettiva, abitazione principale».

Già con la fondamentale pronuncia 179 del 1976, la Corte si era pronunciata sull’incostituzionalità del cumulo dei redditi dei coniugi, escludendo che, per effetto del matrimonio, in ogni caso «si abbia un aumento della capacità contributiva dei due soggetti insieme considerati».

Residenza anagrafica e nucleo familiare non possano essere sovrapposti, quasi che, in mancanza di una comune residenza, possa negarsi che esista un nucleo familiare a fini tributari.

Le ragioni effettive, cui la Corte costituzionale si riferisce, consolidano la centralità dell’indagine concreta, non essendo sufficiente al Comune un mero incrocio di risultanze telematiche. Ciò vale a fortiori se si considerano le finalità extrafiscali dei benefici per i nuclei familiari. Queste non vanno disgiunte dalle finalità antielusive.

In forza della previsione recata dal quarto periodo del comma 2 dell’articolo 13, la possibilità di accesso all’agevolazione per ciascun possessore dell’immobile adibito ad abitazione principale viene meno al verificarsi della mera costituzione del nucleo familiare, nonostante effettive esigenze possano condurre i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti.

Nel processo tributario riformato potrà trovare nuova centralità la funzione di legittimità della Corte di cassazione, attualmente privata della possibilità materiale di svolgere la sua funzione nomofilattica, come gravemente dimostrato dalle diffuse contraddizioni e omissive allusioni delle pronunce in materia, a partire dalle infauste ordinanze quasi gemelle 4166/2020 e 4170/2020.

L’intervento del legislatore della conversione del Dl 146/2021 ha fornito una chiave di lettura atecnicamente autentica. Ma ha nuovamente ispessito la coltre di incertezza che disorienta enti e contribuenti. Perciò, l’effettività dell’esigenza, evocata dalla Corte, richiama alla prova in concreto, al diritto alla motivazione e alla difesa. Essa restituisce centralità alla diarchia della funzione impositiva, condivisa tra amministrazione e contribuente, alla luce dei principi costituzionali.

Semplificazioni irragionevoli rappresentano una deviazione dall’alveo segnato dalla Carta, perciò non possono resistere alla declaratoria di illegittimità costituzionale.