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L’Imu alla Consulta: il diritto tributario deve rifarsi alla Carta

La Corte costituzionale ha deciso di devolvere a se stessa la questione dell'esenzione del tributo locale

di Enrico De Mita


Ho sempre ritenuto che residenza anagrafica e nucleo familiare non possano essere sovrapposti, quasi che, in mancanza di una comune residenza, possa negarsi che esista un nucleo familiare a fini tributari.

L’articolo 31 della Costituzione prevede che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia.

La Corte costituzionale, il 24 marzo scorso, ha esaminato la questione di legittimità sollevata dalla Ctp di Napoli sull’esenzione disciplinata nel quinto periodo del secondo comma dell’articolo 13 Dl 201/2011, convertito nella legge 214/2011. Il remittente censura la disciplina nell’interpretazione della Corte di cassazione, secondo cui l’esenzione Imu per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare va esclusa qualora uno dei suoi componenti abbia la residenza anagrafica in un immobile ubicato in un altro Comune. La Corte ha deciso di sollevare davanti a se stessa la questione di costituzionalità sulla regola generale stabilita dal quarto periodo del medesimo articolo 13.

Come esposto in un breve comunicato in attesa delle motivazioni, la Corte dubita della legittimità costituzionale del riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale non solo del possessore dell’immobile, ma anche del suo nucleo familiare. I parametri costituzionali vulnerati risultano dagli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione.

In tal modo - comunica la Corte – tale riferimento diventa un elemento di ostacolo all’esenzione per ciascun componente della famiglia che abbia residenza anagrafica ed effettiva dimora abituale in un immobile diverso.

Se sono più volte intervenuto sull’argomento è perché la controversia sull’esenzione Imu sull’abitazione principale dimostra quanto sia attuale, indefettibile, impiantare il diritto tributario nel diritto costituzionale, a maggior ragione occupandosi delle finalità extrafiscali dei benefici per i nuclei familiari.

L’ordinanza della Corte costituzionale, annunciata il 24 marzo scorso, di autorimessione innanzi a se stessa della questione di legittimità costituzionale dell’Imu sull’abitazione principale del nucleo familiare, porterà l’indicazione che anche gli enti locali da tempo – implicitamente – richiedono, spesso confusi dall’intento antielusivo.

La Corte di cassazione, sinora, fatica ad orientarli nell’attuazione dei principi costituzionali in materia. Le ordinanze, segno di una Suprema corte assediata da una pletora di ricorsi ingestibili, soprattutto in materia tributaria, lasciano alla allusione ciò che deve risultare da motivazioni articolate e chiare per un inquadramento sistematico e per un orientamento univoco ai giudici di merito.

Di fatto la Cassazione, con alcune pronunce, ha contribuito a creare una disparità di trattamento ingiustificata, sul piano costituzionale, tra i coniugi che hanno stabilito una diversa residenza nello stesso comune e quelli che l’hanno fissata in comuni diversi. In molte pronunce, tuttavia, la stessa Suprema corte ha evidenziato che il contribuente non aveva assolto l’onere probatorio della dimora abituale della famiglia. Come a dire che il beneficio fiscale spetta se questa prova viene offerta.

Il diritto vivente non coincide con la vulgata che una dottrina pro fisco ha voluto contestare, anche per interessi di parte, arrivando all’aberrazione di negare anche un solo beneficio per nucleo familiare.

Diverse ordinanze della Cassazione (28535/2020, 17408 / 2021, 20686/2021) hanno precorso l’interpretazione fissata nella norma del Dl fiscale. La finalità della norma Imu consisteva e consiste nell’impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare, sulla base di presupposti fittizi, di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale.

L’abitazione familiare segna un insieme di rapporti che esiste solo in un unico luogo che costituisce la dimora abituale del nucleo familiare.

L’intervento del legislatore della conversione del Dl 146/ 2021 ha fornito una chiave di lettura atecnicamente autentica. E così ha nuovamente ispessito la coltre di incertezza che disorienta enti e contribuenti.

Con la norma di recente produzione per i membri del nucleo familiare, che abbiano stabilito la residenza anagrafica in immobili diversi, l’agevolazione vale solo per un immobile per nucleo familiare, scelto dai componenti del nucleo familiare, sia che si tratti di immobili siti nello stesso Comune sia che si tratti di immobili in Comuni diversi.

Non è così chiaro se i giudici di merito possano leggere nella nuova norma una lettura autentica, in senso improprio. La relazione all’emendamento ha dato atto che è una norma di «chiarimento». Risulta un referente normativo chiarissimo per il futuro.

Si rafforza l’esigenza di una lettura, altrettanto univoca, per gli anni passati, quelli che interessano il contenzioso pendente. Alla luce dell’articolo 31 della Costituzione, spetta ora alla Corte costituzionale sventare la deriva di letture eterogenee da parte delle commissioni tributarie, sulla applicazione, retroattiva o meno, di questa norma di «chiarimento», sciolta dagli ancoraggi precari di vecchie circolari e nuove ordinanze.