Imposte

Dividendi esteri con credito alle persone fisiche residenti

L’apertura della Cassazione con la sentenza 25698/2022 è riferibile anche agli utili da partecipazioni qualificate. L’intermediario non può applicare direttamente il credito italiano

di Marco Piazza

Stando alla sentenza della Cassazione 25698/2022, gran parte delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia consentono di beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero (ovviamente nei limiti della convenzione) anche sui dividendi percepiti dalle persone fisiche residenti in Italia al di fuori dell’impresa; dividendi che sono soggetti a ritenuta d’imposta o imposta sostitutiva a titolo definitivo.

La sentenza ha una portata dirompente perché, da un lato rende giustizia ai percettori di questa tipologia di reddito estero che per anni hanno subito una irragionevole doppia imposizione; dall’altro ha creato notevole scompiglio nel mondo degli intermediari finanziari che sono frequentemente chiamati ad operare come sostituto d’imposta.

Va aggiunto che la sentenza riguarda un caso specifico – utili distribuiti da una partnership americana nel 2005 in relazione ad una partecipazione non qualificata – ma, se attualizzata nel contesto del sistema tributario vigente, può essere riferita anche agli utili riferiti a partecipazioni qualificate, a prescindere dalla forma giuridica del soggetto che li eroga.

Le conclusioni della Cassazione non valgono solo per la convenzione con gli Stati Uniti, ma per tutti i trattati che, come quello americano, dopo la frase standard che obbliga l’Italia ad ammettere in deduzione, entro certi limiti, dalle imposte italiane sugli elementi di reddito di fonte estera, le imposte già pagate all’estero (tax credit), contengono la frase: «Tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta “su richiesta del beneficiario del reddito”, in base alla legislazione italiana».

Questa locuzione – che ha lo scopo di non consentire la deduzione dei credito d’imposta sui redditi esteri assoggettati in Italia a ritenuta d’imposta – è presente nelle convenzioni più datate e la sua formulazione è dovuta al fatto che, all’epoca in cui tali convenzioni sono state negoziate la tassazione d’imposta era prevista «solo» su richiesta del contribuente. Oggi invece, per i dividendi esteri, la tassazione a titolo d’imposta avviene obbligatoriamente, e non «su richiesta».

Nei trattati e protocolli di modifica più recenti (Arabia Saudita, Cipro, Corea, Filippine, Hong Kong, Malta, Monaco, Romania, Singapore), la locuzione è stata modificata con l’aggiunta di un «anche» prima di «su richiesta del beneficiario del reddito». A questa modifica, la Cassazione attribuisce la volontà del legislatore di impedire il riconoscimento del tax credit solo in relazione a queste ultime convenzioni. Sono salve, quindi, tutte le convenzioni meno recenti. Nelle ultime convenzioni negoziate (Cile, Colombia e Giamaica), la formulazione è ancora più netta perché le parole «su richiesta» sono state sostituite dalle parole «su richiesta o meno». In conclusione, stando alla sentenza delle Cassazione (la prima per quanto risulta) sono salve tutte le numerosissime vecchie convenzioni (si veda l’elenco a lato).

Ciò premesso, in attesa che questa giurisprudenza si consolidi, si deve comprendere come si debbano comportare gli intermediari finanziari italiani, che intervengono nella riscossione degli utili in veste di sostituti d’imposta, e i contribuenti interessati.

Dal lato degli intermediari, va detto che nessuna disposizione dà loro la facoltà di applicare direttamente il tax credit italiano quando la convenzione lo preveda. L’unico caso previsto dalla legge è contenuto nell’articolo 23, comma 3, del Dpr 600/73 e riguarda i soli datori di lavoro. Del resto, gli intermediari non sono tecnicamente in grado di desumere dal flusso informatico proveniente dal corrispondente estero l’ammontare del dividendo lordo e della ritenuta estera, né di comprendere se la ritenuta sia stata o meno applicata nei limiti della convenzione. Ma, soprattutto, gli intermediari non possono assumersi la responsabilità di valutare, caso per caso, se la documentazione eventualmente prodotta dal cliente sia idonea a dare prova – necessaria per beneficiare del tax credit – dell’entità dell’imposta definitivamente pagata all’estero.

I DIVERSI TIPI DI CONVENZIONE
Convenzioni in cui il tax credit è escluso per i redditi soggetti a ritenuta d’imposta

Su richiesta del contribuente

Albania, Algeria, Argentina, Armenia, Azerbaijan, Bangladesh, Belgio, Bielorussia, Canada, Cina, Congo, Costa d'Avorio, Croazia ,Danimarca, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Equador, Estonia, Etiopia, Francia, Gabon, Georgia, Germania, Ghana, Giappone, Giordania, Gran Bretagna, Grecia, India, Indonesia, Islanda, Israele, Kazakhstan, Kuwait, Lettonia, Libano, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malesia, Marocco, Mauritius, Messico, Moldavia, Mongolia, Mozambico, Norvegia, Nuova Zelanda, Oman, Paesi Bassi, Pakistan, Polonia, Portogallo, Quatar, Russia, San Marino, Senegal, Siria, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Stati Uniti d'America, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Tailandia, Tanzania, Tunisia, Turchia, Ucraina, Uganda, Ungheria, Uzbekistan, Venezuela, Vietnam, Zambia

Anche su richiesta del contribuente

Arabia Saudita, Malta, Cipro, Singapore, Corea, Hong Kong, FilippineSu richiesta o meno del contribuenteCile, Giamaica, Colombia

L’ESEMPIO

Il calcolo del tax credit e dell’importo da recuperare

Dividendo estero 1.000

Ritenuta estera 15% (150)

Netto frontiera 850

Ritenuta fatta dalla banca italiana 26% (221)

Calcolo tax credit

Dividendo lordo 1.000

Imposta italiana sul dividendo lordo 26% (260)

Tax credit spettante secondo la Cassazione 150

Imposta netta dovuta (110)

Imposta applica dall'intermediario 221

Importo da recuperare 111

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