Imposte

Ibridi, deduzioni a rischio per le subsidiary italiane

Senza monitoraggio a livello di gruppo ci si espone alle contestazioni del Fisco

di Raimondo Rossi e Stefano Schiavello

Le società italiane parte di gruppi multinazionali devono confrontarsi con le articolate disposizioni previste dal decreto Atad volte a contrastare i disallineamenti “ibridi”, cioè gli effetti di “doppia deduzione” o di “deduzione senza inclusione” prodotti dal trattamento asimmetrico di uno strumento (o di un soggetto) da parte di Paesi diversi.

La norma prevede specifiche misure di “reazione” volte a rimuovere gli effetti fiscali in capo alla società italiana, imponendo l’indeducibilità di un componente negativo di reddito o la “forzata” inclusione di un componente positivo di reddito. Le “reazioni” si applicano a tutte le operazioni cross-border effettuate con imprese associate, ricomprendendo quindi qualsiasi voce di costo (ad esempio pagamenti di interessi o royalties, spese per acquisti di beni o servizi) e potenzialmente anche gli ammortamenti (in caso di immobilizzazioni originate in maniera ibrida).

Particolari complessità derivano dalla norma di contrasto agli “ibridi importati”, cioè le situazioni in cui un pagamento “non-ibrido” comporti il trasferimento in Italia dell’effetto ibrido generato tra due Paesi esteri (che non abbiano implementato norme equivalenti o le interpretino in maniera differente da quella italiana).

In presenza di un fenomeno ibrido “importato” in Italia, viene esclusa la deduzione del costo in capo alla società italiana per un importo pari al disallineamento ibrido realizzato all’estero, in modo da neutralizzare (in Italia) il fenomeno ibrido estero “finanziato” dalla società italiana.

Nell’analisi sulla sussistenza di fenomeni ibridi “importati” in Italia, va fatta attenzione all’identificazione del “nesso” tra il pagamento intercompany effettuato dalla società italiana e la “deduzione ibrida” realizzata all’estero.

Secondo l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, che fa riferimento a quanto espresso dall’Ocse, il nesso può comprendere una qualsiasi voce di costo sostenuto dalla società estera o una compensazione derivante di un regime di consolidato fiscale, ed è declinato gerarchicamente nelle tre casistiche structured, direct e indirect.

Una volta esclusa la presenza di fenomeni ibridi importati “strutturati” (non frequenti nei gruppi multinazionali), i fenomeni ibridi importati “direttamente” e “indirettamente” richiedono un approccio coordinato con gli altri Paesi in cui sono localizzate le società che sostengono costi nei confronti del soggetto in capo al quale trova compimento il fenomeno ibrido, per determinare in quale misura tali costi abbiano “finanziato” la deduzione ibrida e quindi per quantificare l’importo della ripresa in aumento che la società italiana dovrà effettuare.

Le linee guida Ocse postulano un criterio di ripartizione tra i vari Paesi che hanno adottato le regole anti-ibridi che considera il rapporto tra la deduzione ibrida e il totale dei pagamenti che “finanziano” tale deduzione, così da avere una proporzione comune che permette di allocare le riprese in aumento in maniera proporzionale tra i vari Paesi “finanziatori”. Una volta identificata l’esistenza di un fenomeno ibrido non neutralizzato, le società da cui si originano i flussi che finanziano tale ibrido sono chiamate a calcolare in maniera unitaria le riprese in aumento da effettuare, per allocare in linea con le indicazioni dell’Ocse le “reazioni” necessarie per neutralizzare il fenomeno ibrido.

L’applicazione concreta di queste regole pone numerose questioni complesse, come ad esempio l’ipotesi in cui diverse società Ue effettuino pagamenti potenzialmente atti a trasferire nei rispettivi Paesi una deduzione ibrida da un Paese non-Ue, ma solo alcune di queste abbiano l’obbligo di neutralizzarla (perché le altre non devono “reagire” per effetto della diversa interpretazione del Fisco locale che potrebbe ad esempio dare rilevanza alla tassazione Gilti negli Usa quale fattispecie di “doppia inclusione”). In tal caso ci si chiede se la subsidiary italiana debba considerare, ai fini del calcolo della percentuale di ripartizione della deduzione ibrida estera, al denominatore del rapporto (pagamento italiano / totale pagamenti) tutti i pagamenti provenienti dai Paesi che abbiano adottato le regole anti-ibridi oppure solo quelli provenienti dai Paesi che abbiano effettivamente l’obbligo di reagire.

Anche in ragione dei sostanziali profili sanzionatori (sia amministrativi che penali, ove integrate le soglie) e degli stringenti oneri probatori (la società italiana è tenuta a fornire la documentazione di supporto entro 60 giorni dalla richiesta), appare opportuno che le società italiane parte di gruppi multinazionali si dotino al più presto (la norma è in vigore dal 2020) di adeguati presidi volti ad accertare l’esistenza di fenomeni ibridi esteri che – direttamente o indirettamente – possono essere importati in Italia, con un approccio necessariamente coordinato a livello di gruppo.

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