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Sanatoria ricerca e sviluppo, la proroga è l’occasione per rivedere la disciplina

I correttivi necessari consistono nel bloccare tutti i termini di accertamento e contenzioso, e rimeditare la distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti

di Giorgio Gavelli

 La lunga proroga della procedura di riversamento spontaneo del credito d’imposta ricerca e sviluppo maturato negli anni 2015-2019 (articolo 5, Dl 146/2021) – inserita tra gli emendamenti al decreto Aiuti-ter – è positiva per due aspetti: non solo perché al 31 ottobre scorso non c’erano le condizioni per un’adesione ragionata da parte delle imprese, ma anche perché consente di estendere alle spese che hanno determinato questi crediti contestati il meccanismo della “certificazione” di cui all’articolo 23 del Dl 73/2022.

La proroga avrà efficacia solo se tutti i “tasselli” del mosaico (Dpcm attuativo, albo dei certificatori, eccetera) andranno rapidamente al loro posto, poiché – come tutte le innovazioni – ci sarà bisogno di un certo rodaggio, e il tempo passa velocemente. E se, congiuntamente, si provvederà all’eliminazione a questi fini dell’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 23 citato, laddove viene preclusa la “certificazione” in caso di violazioni già constatate o accessi, ispezioni e verifiche in corso: il che impedirebbe a moltissimi contribuenti interessati di avvalersi della nuova disposizione.

Ciò non toglie, tuttavia, che questo lasso di tempo dovrebbe anche essere utilmente impiegato per ridisegnare alcuni aspetti della disciplina che, per opinione comune, non funzionano.

Tra contenziosi e «qualità» dei crediti

In primo luogo, sarebbe necessario bloccare tutti i termini di accertamento e contenzioso: che senso ha costringere uffici, contribuenti e corti di giustizia ad affannarsi nel procedere con tutti gli atti formali nelle more del termine per aderire alla sanatoria, la quale, ove regolarmente effettuata, travolgerà tutto?

Molto meglio invitare gli uffici a tenere i contraddittori con le imprese a supporto della sanatoria: se si prepara la pace, il primo comportamento è quello di deporre le armi, compresa la segnalazione da parte dell’amministrazione finanziaria dell’ipotesi di reato in tutti i casi in cui viene riconosciuta applicabile la procedura di riversamento.

In secondo luogo, la distinzione tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti” va rimeditata. Al di là che la stessa Cassazione ha manifestato parecchi disagi a interpretare questa distinzione, con pronunce tra loro incompatibili, è un dato di fatto che, nella pratica, qualunque fattispecie è stata catalogata dagli uffici come rientrante nella definizione di “credito inesistente”; per cui quella di “credito non spettante” è, con riferimento a questi bonus, una casistica pressoché estinta.

Allo scopo andrebbe modificata la definizione di cui all’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 13 del Dlgs 471/1997, in particolare il riferimento ai controlli formali. In molti avvisi di recupero si legge che l’individuazione della violazione è stata resa possibile solo attraverso «l’approfondito esame dei documenti prodotti dal contribuente», con l’evidente intento di “bypassare” il comma 5 dell’articolo 36-bis del Dpr 600/1973, il quale,
alla lettera e), attribuisce alla fase di liquidazione delle dichiarazioni il compito di «ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazione».

Insomma, un peculiare “gioco delle parti” che causa solo problemi, ingigantiti dal fatto che la disposizione penale (articolo 10-quater, Dlgs 74/2000) non fornisce una propria definizione di crediti inesistenti e non spettanti, “appoggiandosi” così su quella amministrativa e finendo per trascinare con sé tutte le sue antinomie.

Appiattire tutte le situazioni sul credito inesistente è molto comodo per chi deve verificare, ma è profondamente ingiusto per chi ha cercato di operare correttamente, molto spesso con l’unico “peccato” di essere stato sorpreso da interpretazioni postume, probabilmente legate alle esigenze di recupero di una misura che si è rivelata più costosa del previsto in termini di oneri per l’Erario. Sotto questo aspetto, il credito d’imposta R&S potrebbe rappresentare il banco di prova di quello che potrebbe accadere con le verifiche del superbonus. Pensando al numero e alla tipologia di interessati, la sola idea che si possano avviare i controlli senza una chiara ed equilibrata delimitazione delle ipotesi di credito inesistente e non spettante dovrebbe far rabbrividire chiunque. Bisogna intervenire prima che sia troppo tardi.