Diritto

Reati 231, la richiesta di giudizio depositata ferma la prescrizione

La notifica invece non conta ai fini della sospensione del termine quinquennale

di Sandro Guerra

Per il sol fatto della sua emissione, la richiesta di rinvio a giudizio, in quanto atto di contestazione dell’illecito amministrativo all’ente, interrompe la prescrizione quinquennale prevista dall’articolo 22 del Dlgs 231/2001 e il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza, mentre la notifica dell’atto è irrilevante: così si è espressa la Corte di cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza 3287 del 15 dicembre 2021, depositata il 31 gennaio 2022 .

Sembra questa, da qualche tempo, la soluzione favorita dai giudici di legittimità (Cassazione, 12278/2020, 1432/2019), in passato proposta con minore frequenza (Cassazione, 50102/2015, 10822/2011) e più di recente articolata su una varietà di argomenti.

Secondo una prima versione sarebbe l’articolo 59 del Dlgs 231/2001, individuando l’atto di contestazione nella richiesta di rinvio a giudizio (e quindi in un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica), a conferire efficacia interruttiva al mero deposito (Cassazione, 41012/2018); per altra decisione la legge delega – quando vincolava il legislatore a regolare la materia della prescrizione nel sistema della responsabilità degli enti collettivi (articolo 11, lettera r, legge 300/2000) – intendeva riferirsi al solo articolo 2945, comma 2 del Codice civile e quindi al permanere dell’effetto interruttivo fino alla definizione del giudizio, non anche alla necessità di “notifica” degli atti imposta dall’articolo 2943 del Codice civile (Cassazione, 30634/2019); per altra ancora varrebbe anche per l’ente la natura non recettizia degli atti processuali “tradizionali”, che producono effetti con il loro deposito (Cassazione, 7123/2018).

Un brusco cambiamento di rotta rispetto al passato e all’orientamento contrario, peraltro condiviso dalla dottrina largamente maggioritaria e dalla giurisprudenza di merito (Tribunale di Bari, 20 febbraio 2012; Tribunale di Brescia, 20 febbraio 2015; Gup Tribunale di Voghera, 16 gennaio 2010), dapprima timidamente espresso dalla Corte di Cassazione in nmmodo incidentale (sentenza 27987/2014), poi affrontato in dettaglio dalla sentenza 18257 del 2015, che dopo aver ricordato come in difetto di «ottemperanza alla previsione della applicabilità della disciplina del codice civile scatterebbero le conseguenze della contrarietà alla legge delega», cioè l’eccesso di delega foriero di illegittimità costituzionale, considerava indiscutibile, in quanto espressamente previsto dall’articolo 2943 del Codice civile, che l’effetto interruttivo si ottenesse «con la portata a conoscenza dell’atto nei confronti del debitore, in particolare con la notifica degli atti processuali».

Impostazione, questa, che la sentenza 3287 del 2022 confina in un isolato e superato indirizzo, ma che a ben vedere era aderente al regime della contestazione dell’illecito amministrativo “classico” – sicuramente di natura recettizia – già delineato dall’articolo 14 della legge 689 del 1981. Del resto il concetto stesso di “contestazione” evoca, fatalmente, l’emissione di un atto il cui contenuto sia portato a conoscenza del destinatario.

Non dissimile la funzione dell’articolo 59, comma 2, del Dlgs 231/2001, quando impone che la contestazione contenga «gli elementi identificativi dell'ente, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto che può comportare l'applicazione delle sanzioni amministrative, con l’indicazione del reato da cui l’illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova», ed il rapporto di parentela tra le due norme non è negato dalla Relazione governativa al decreto nella parte in cui afferma che «la contestazione svolge la stessa funzione dell’imputazione rispetto alla persona fisica», funzione è comune anche alla contestazione di una violazione amministrativa.

L’adesione all’una o all’altra tesi non è priva di conseguenze pratiche: tra il momento del deposito di un atto processuale (in questo caso della richiesta di rinvio a giudizio) e la sua comunicazione all’ente interessato attraverso la notifica, tra adempimenti di cancelleria e prerogative della giurisdizione, possono trascorrere anche anni.

Questo iato temporale non onora la scelta del legislatore che, come ricordato dalla Relazione dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione del novembre 2021, è stata quella di introdurre un termine di prescrizione relativamente breve, con la dichiarata intenzione di non lasciare un ambito temporale di incertezza troppo ampio e perciò in attrito con le esigenze di certezza insite nella programmazione dell’attività imprenditoriale.

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