Il CommentoImposte

Un sistema equo non può prescindere da regole certe

Stop alle “manutenzioni ordinarie” dei regimi fiscali degli ultimi 50 anni: una vera riforma dei tributi costituisce il nodo strategico per promuovere la ripresa economica nazionale.

di Enrico De Mita

La preannunciata legge delega sulla riforma del fisco si presenta come la vera sfida per dare contenuto e forma a un mondo da creare, più che a un mondo da migliorare.

Una vera riforma fiscale è attesa da oltre 50 anni. Da queste colonne, in più interventi, anche recentemente, abbiamo evidenziato come il Fisco rappresenti una vera e propria leva per la ripresa e un saldo – seppure attualmente precario – ancoraggio per la parità concorrenziale delle nostre imprese sul piano europeo e internazionale.

Arriva il momento di abbandonare al passato la logica delle piccole manutenzioni ordinarie, delle “miniriforme” che si sono concentrate – tempo per tempo – sui frammenti disarticolati di una generale concrezione, più diluviale che alluvionale, mai in grado di assumere la parvenza di sistema.

La costituzione di una nuova coerenza con le regole unionali e internazionali pretende la realizzazione concreta di un sistema tributario.

Cambia il rapporto tra Fisco e contribuente. Quest’ultimo è il garante coobbligato nella realizzazione dell’interesse fiscale costituzionalmente inteso. La condivisione della funzione impositiva può ridurre il cosiddetto tax gap, attualmente abnorme, perché non esiste alcuna collaborazione tra Fisco e contribuente, entrambi coinvolti in una relazione obbligatoria soggettiva autenticamente “diarchica”, per richiamare un concetto caro a Feliciano Benvenuti.

Innestato saldamente nell’alveo dei principi costituzionali il contribuente cessa di essere il presunto evasore. O meglio, non può più essere il presunto evasore perché lo spazio della presunzione e dell’evasione sono ridotti al minimo grazie a un sistema normativo riformato, puntuale e organico, in relazione alla disciplina sia delle imposte che dell’accertamento, della riscossione e delle sanzioni.

D’altra parte la logica ablativa che devìa l’interesse pubblico alla riscossione in interesse fiscalistico, si supera solo con il riordino del prelievo tributario. Stella polare la riduzione del numero delle aliquote e l’equità delle stesse. Con essa la certezza del tributo sul piano sostanziale, procedimentale e processuale. Tale genere di certezza si associa, geneticamente, alla razionalizzazione, chiarezza e stabilità dei presupposti per accedere alle agevolazioni e alle esenzioni, con una delimitazione normativa della discrezionalità non tecnica e interpretativa degli uffici.

Della necessità di una riforma strutturale del fisco ha parlato il viceministro Maurizio Leo nel recente convegno dell’Ordine dei commercialisti di Milano all’Università Cattolica, ben consapevole, con l’attuale Governo, come pure con i precedenti, che una vera riforma fiscale costituisce il nodo strategico per promuovere la ripresa economica nazionale.

Al Legislatore, più volte sollecitato anche dalla Corte costituzionale, a intervenire in modo tempestivo e con incisivisità, si offre l’opportunità di riformare il fisco e creare un sistema giusto, adeguato ai principi costituzionali tanto da sottrarre il rapporto tributario, quanto più possibile, ai ricorrenti malintesi interpretativi dell’Amministrazione finanziaria o agli interventi suppletivi delle integrazioni giudiziali.

Il riformatore sa di dover partire dal rapporto tributario sostanziale, perché la vita dei tributi è causa ed effetto delle condizioni di convivenza di uno Stato civile.

Nessuna riforma può avere l’effetto taumaturgico di creare ciò che già non sia acquisito dalla sensibilità collettiva: l’evasione fiscale, la fuga dall’adempimento di un’imposta, se giusta, è violazione odiosa dell’obbligo inderogabile di solidarietà economica e sociale. Come tale si rende meritevole di un adeguato e certo intervento sanzionatorio.

Il disordine rende la situazione attuale in parte sovrapponibile a quella che dovette affrontare il riformatore del 1971: la complessità del sistema per numero dei tributi e qualità delle leggi, l’insopportabilità delle aliquote, la sperequazione dei redditi, la mancata preparazione della collaborazione privato/pubblico, il tutto involuto nell’erosione legale e nell’evasione fiscale, nell’aggravio della tassazione dei redditi di lavoro dipendente e nell’indifferenza dei redditi finanziari alla progressività.

L’imminente riforma tributaria deve ripartire, più che dalle procedure, da una parte generale del diritto tributario sostanziale, correttamente centrato nella Costituzione.