Imposte

La delega fiscale non supera la parcellizzazione delle sostitutive

Sulle persone fisiche il dibattito ha diluito la portata innovativa del Ddl. Sulle sovraimposte Irpef si riportano allo Stato le scelte sulla progressività

di Livia Salvini e Giuseppe Zizzo

La prima bozza delega fiscale da poco approvata in Cdm ha visto la luce nell’autunno dello scorso anno: in un momento cioè in cui la crisi economica ingenerata tra l’altro dallo shock energetico aveva appena iniziato a manifestarsi e in cui ancora non si udivano venti di guerra. Il testo odierno non si discosta molto da quello originario, se non forse per quanto riguarda l’imposta duale; e sebbene sia giusto e opportuno che una delega che ambisce a riformare il sistema fiscale non sia troppo legata alla (caotica) situazione contingente, non ci si può non chiedere se essa sia idonea a riportare ordine e dunque a raggiungere positivi risultati almeno nel medio periodo.

La discussione politica sulla bozza di delega non sempre si è concentrata su aspetti determinanti. Paradigmatico è il caso della riforma del sistema catastale, che si è risolta nell’occultare nella forma – ma non nella sostanza – il riferimento all’adeguamento della rendita ai valori di mercato, fermo restando che, come già originariamente previsto, le nuove rendite non sono utilizzabili per la determinazione di ogni imposizione immobiliare.

Sotto altri aspetti, invece, il dibattito sembra aver diluito la portata innovativa della prima versione, e ciò vale soprattutto per quella che doveva rappresentare la principale innovazione in tema di tassazione delle persone fisiche della riforma tributaria: la tassazione duale. Nella sua versione originaria, l’articolo 2 del disegno di legge delega configurava una razionalizzazione della pletora di regimi sostitutivi di stampo reale che, con formule e aliquote fortemente differenziate, hanno progressivamente eroso il campo di applicazione dell’Irpef, confinandolo, in modo quasi residuale, ai redditi di lavori dipendente e alle pensioni. Prefigurava, in particolare, una netta separazione tra redditi da lavoro, da assoggettare alle (auspicabilmente) rimodulate aliquote progressive Irpef, e redditi da capitale, da assoggettare alla medesima aliquota proporzionale, a prescindere dalla loro fonte, mobiliare o immobiliare, autonoma o combinata (al lavoro, nel reddito d’impresa). Pur stabilizzando la sottrazione all’area della progressività del secondo insieme di redditi, il criterio direttivo considerato aveva l’indubbio merito di mettere ordine in un settore connotato da estrema frammentazione e disorganicità, e perciò costituiva un apprezzabile avanzamento sull’esistente.

La recente riformulazione di detta disposizione sfuma alquanto questo programma, privandolo di buona parte della sua carica innovativa. Confermato il regime di flat tax per le partite Iva, l’intervento adesso previsto si risolve in una progressiva revisione della disciplina dei redditi derivanti dall’impiego dei capitali. Nella prospettiva di incrementare il suo tasso di neutralità fiscale, è vero, ma con il vincolo di preservare la distinzione tra redditi di capitale di fonte mobiliare e redditi di capitale di fonte immobiliare. In questa nuova veste, l’articolo 2 ripropone dunque quella parcellizzazione dei prelievi sostitutivi che la versione originaria mirava a superare, tornando, di riflesso, a delineare assetti connotati da disparità di trattamento di cui è davvero difficile predicare la compatibilità con i principi di uguaglianza e capacità contributiva di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Vi sono poi aspetti rilevanti, impliciti nella formulazione della delega, che invece sembrano essere passati sotto silenzio, ed in primis quello dell’impatto sulla fiscalità locale, ovvero sul (ormai dimenticato?) federalismo fiscale. Da una parte, l’esclusione della valenza fiscale del riordino delle rendite mantiene nella illusorietà il principio di contribuzione ai Comuni in funzione dei benefici effettivamente ricevuti dai contribuenti; dall’altro, il (pur opportuno) ulteriore superamento dell’Irap comporta la crescente necessità di sopperire mediante trasferimenti statali, e non più mediante tributi propri, al finanziamento delle Regioni; ed ancora, la sostituzione delle addizionali regionali e comunali all’Irpef con sovraimposte ha il dichiarato fine di ridurre lo spazio di manovra fiscale degli enti territoriali, riportando allo Stato le scelte in ordine alla progressività dell’imposizione.

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