Contabilità

Mini-Spa e soci, rettifiche a effetto limitato

di Francesco Gerla e Andrea Vasapolli

La Commissione norme di Comportamento dell’Aidc (Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti contabili) ha preso in esame, con la norma di comportamento 198, il problema dell’attribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo a società di capitali con ristretta compagine sociale. È prassi dell’agenzia delle Entrate, nel caso di accertamenti effettuati nei confronti di società di capitali con ristretta compagine sociale, presumere che i maggiori redditi accertati siano stati occultamente ripartiti tra i suoi soci, attribuendo così pro quota agli stessi i maggiori redditi accertati in capo alla società. Si ritiene che tale presunzione non possa essere applicata indiscriminatamente e, in particolare, che la stessa non possa trovare applicazione in tutti quei casi in cui il maggior reddito imponibile accertato in capo alla società non implichi una comprovata esistenza di corrispondenti disponibilità finanziarie occulte.

La presunzione in oggetto, di fonte giurisprudenziale, trova fondamento nell’assunto secondo il quale la «complicità» che normalmente lega un gruppo ristretto di soci legittima l’accertamento in capo al socio del maggior reddito della società, che si presume da lui percepito in proporzione alla sua partecipazione. La stessa giurisprudenza che legittima l’applicazione di tale presunzione semplice ritiene che il socio possa offrire prova contraria dimostrando che tali maggiori redditi accertati non sono stati distribuiti.

In altre parole, secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte che legittima l’uso di tale presunzione, la stessa ha ad oggetto la presunta distribuzione ai soci dei maggiori redditi accertati in capo alla società, per cui l’unica prova contraria che viene offerta al contribuente è quella di dimostrare di non avere finanziariamente «percepito» tali redditi.

È la natura stessa di tale presunzione e della sola prova contraria che può essere offerta, pertanto, che ne impone i limiti applicativi. Se la sola prova contraria che il socio può offrire è quella di dimostrare che tali maggiori redditi non sono stati distribuiti o, quantomeno, che sono stati distribuiti ad altri ma non a lui, deve trattarsi di maggiori redditi a fronte dei quali vi è necessariamente stata la formazione di risorse finanziarie occulte. Può quindi trattarsi esclusivamente di accertamenti afferenti ricavi non dichiarati o costi fittiziamente sostenuti (oggettivamente inesistenti).

Tale presunzione, viceversa, non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui il maggior reddito imponibile accertato nei confronti della società non sia chiaramente rappresentativo di una disponibilità finanziaria occulta che possa essere stata distribuita ai soci. Se il maggior reddito accertato in capo alla società, infatti, è attribuibile a fattispecie dalle quali non è necessariamente conseguita una disponibilità finanziaria occulta, allora è lo stesso accertamento effettuato in capo alla società che esclude in radice la possibilità di riverberare effetti sui soci (trattandosi di maggior reddito non distribuibile) e inoltre non sarebbe legittima una presunzione per la quale l’unica prova contraria consentita sia una probatio diabolica (non essendo il maggior reddito accertato distribuibile, non si può altrimenti dimostrare che non è stato distribuito).

Casi in cui tale presunzione non può trovare applicazione sono, a titolo esemplificativo, gli accertamenti di maggior reddito imponibile che trovano origine in costi effettivamente sostenuti ma ritenuti in tutto o in parte indeducibili, accantonamenti o ammortamenti in tutto o in parte indeducibili, rettifiche dei criteri di valutazione adottati dalla società, violazione delle regole della competenza, applicazione di strumenti, indirettamente sanzionatori o di tipo “statistico”, quali la disciplina delle cosiddette società di comodo e gli studi di settore. Si tratta, infatti, di casi in cui a fronte del maggior reddito accertato in capo alla società non vi è la formazione di disponibilità finanziarie occulte, per il che tali maggiori redditi non possono in alcun modo presumersi distribuiti ai soci. La presunzione oggetto del pronunciamento della Commissione dell’Aidc, inoltre, pone un problema di possibile duplicazione di imposizione (in senso economico), in quanto tale illegittima. Non può, infatti, ritenersi interamente distribuito ai soci, e quindi tassato in capo agli stessi, l’intero maggior reddito accertato, e quindi tassato, in capo alla società.

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