Professione

Miani: «Le dimissioni e il commissario liberano il voto da nuovi ricorsi»

Intervista al presidente dimissionario del Consiglio nazionale dei commercialisti

di Maria Carla De Cesari

Massimo Miani, da lunedì ex presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti: che effetto le fa? Ha avuto ripensamenti?

No, volevo dimettermi quando è stato emesso il primo provvedimento monocratico del Tar Lazio. Poi si è tenuta l’assemblea a Roma dove tutti gli Ordini intervenuti hanno chiesto di continuare. Quindi è arrivata l’ordinanza collegiale del Tar che ha prospettato la nostra decadenza. Siamo rimasti, mi sembrava inaccetabile uscire senza avere il riconoscimento della legittimità del nostro operato. Dopo il giudizio monocratico del Consiglio di Stato abbiamo scritto una lettera al ministro della Giustizia in cui tutti ci impegnavamo a dimetterci. Con l’ultima ordinanza il Consiglio di Stato ha preso in considerazione la legge speciale, il decreto legislativo 139, che sembra accreditare una proroga del Consiglio.

Quindi, fugate le ombre giuridiche sul vostro operato, era il momento giusto per dare le dimissioni?

Proprio così.

Una parte dei consiglieri nazionali sostiene che prima bisognava condividere un percorso con il ministero della Giustizia.

Io ho condiviso il percorso con il sottosegretario Francesco Sisto. Ci siamo trovati di fronte a un’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato che da una parte sollecita il Tar a pronunciarsi nel merito, dall’altra a indire le elezioni quanto prima. Se avessimo fissato una nuova data per il voto degli Ordini saremmo potuti andare incontro a nuovi ricorsi, senza contare le decisioni dei giudici amministrativi che sarebbero sopravvenute. Un guazzabuglio. Il commissario sgombra il campo da tutto questo.

Dicono che abbia interesse ad allungare i tempi con il commissarimento.

Non ho mai ragionato in termini politici o personali. Non sono in corsa.

Si parla di una terza lista per il Consiglio nazionale.

È vero si sta organizzando, ma io penso che alla fine la competizione sarà a due.

Il grande progetto di questa legislatura, le specializzazioni, è naufragato. La critica principale è stata: non possiamo avere specializzazioni senza riserve. Ha qualcosa da rimproverarsi?

Purtroppo la crisi degli Ordini è nello svuotamento di funzioni che essi subiscono: ci sono elenchi di esperti che moltiplicano la formazione, imporranno esami e pagamento di quote. La risposta possibile era nelle specializzazioni, volontarie, al di là dell’attività di base. Non ha senso parlare di esclusive, ma di prerogative. Non si può andare contro il mercato. Abbiamo pagato la sovrapposizione delle professioni, il fatto che ciascuno si muove per il proprio interesse.

E al vostro interno? Il ruolo dei sindacati?

Le associazioni vogliono avere un ruolo che non è il loro, non si riconosce la rappresentanza istituzionale. D’altra parte noi siamo stati eletti con il 70% dei consensi, i sindacati hanno un peso rappresentativo che non si sa bene. Con loro ho tentato tutto: l’apertura, la chiusura, il dialogo. Hanno lavorato con i politici e le specializzazioni sono fallite.

L’ultimo strappo all’Albo è nella disciplina della crisi d’impresa: l’elenco degli esperti nella procedura di negoziazione. C’è possibilità per gli Ordini di salvarsi dalla deriva?

Credo di sì, se le professioni di una stessa area dialogano tra loro e presentano alla politica un progetto che va alle radici della tutela delle fede pubblica. Non si può pretendere di fare ciò che non si sa fare solo per estendere l’oggetto sociale dei propri iscritti.

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