Adempimenti

Imprese sociali escluse. Pesa la mancata qualifica di ente non commerciale

Regimi fiscali

di Luca Degani e Gabriele Sepio

Nel nuovo contesto della riforma, le realtà che operano nei settori indicati dovranno prestare particolare attenzione alle modalità di svolgimento delle attività. Pensiamo agli enti socio-sanitari che beneficiano dello specifico regime di esenzione Iva (articolo 10, comma 1, n. 27-ter, del Dpr 633/1972) volto ad agevolare, dal punto di vista fiscale, l’esercizio di attività con fine di solidarietà sociale.

Per fruire di tale agevolazione, tuttavia, è necessario rispettare tre requisiti, di carattere oggettivo e soggettivo. Il primo riguarda il tipo di prestazioni ammesse all’agevolazione. Queste devono essere: (i) connesse all’assistenza resa in comunità e simili; (ii) fornite in favore di anziani ed inabili adulti, tossicodipendenti e malati di Aids, handicappati psicofisici, minori anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, persone migranti, senza fissa dimora, richiedenti asilo, persone detenute, donne vittime di tratta a scopo sessuale e lavorativo.

Sempre sotto il profilo oggettivo, l’esenzione trova applicazione per le prestazioni rientranti nell’alveo di quelle socio-sanitarie/assistenziali ed erogate in regime di assistenza domiciliare e ambulatoriale.

Discorso diverso, invece, per quanto riguarda il profilo soggettivo. L’esenzione si applica, al ricorrere delle condizioni sopra descritte, solo quando ad erogarle siano enti di diritto pubblico o altri organismi riconosciuti dallo Stato come aventi carattere sociale, ossia organismi di diritto pubblico, istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assistenza pubblica di cui all’articolo 41 della legge 833/1978, enti aventi finalità di assistenza sociale e Onlus.

Le stesse prestazioni ricevono un trattamento diverso se rese da cooperative sociali e loro consorzi. In tal caso, infatti, anziché l’esenzione, è prevista l’applicazione di un’aliquota Iva pari al 5%, sempre a condizione che le attività siano svolte a favore dei medesimi soggetti svantaggiati individuati dall’articolo 10.

Con la piena operatività della riforma, la sostituzione del riferimento alle Onlus con quello di «enti del Terzo settore (ETS) di natura non commerciale», di fatto, lascia aperta la questione Iva.

Potranno, infatti, accedere al regime di esenzione per le prestazioni socio-sanitarie i soli Ets fiscalmente non commerciali che rispettino anche gli ulteriori requisiti previsti dalla norma. Risulteranno, invece, escluse tout court, per il solo fatto di non potersi qualificare come Ets non commerciale, tutte le imprese sociali che operano in tale settore, a prescindere dalla forma giuridica adottata.

Ai fini dell’accesso all’esenzione Iva, in tal caso, andrà, dunque, verificata la possibilità di considerare la sussistenza di altri requisiti soggettivi, come, ad esempio, il fatto di essere un ente riconosciuto dalla Pubblica amministrazione.

Adottando una interpretazione restrittiva, ancorata solo alla qualifica fiscale dell’Ets, si avrebbe un’ingiustificata disparità di trattamento per le imprese sociali, che, sebbene, costituite in forma di associazione/fondazione, si vedrebbero applicare, dunque, il regime ordinario Iva.

Medesima problematica per le prestazioni di ricovero rese da cliniche e case di cura convenzionate (articolo 10, comma 1, n. 19). Maggiori chance di mantenere l’esenzione Iva potrebbe avere, invece, un Ets commerciale che gestisce una casa di riposo per anziani. In tal caso, infatti, il regime Iva più favorevole non sembra essere legato alla qualifica fiscale del soggetto che rende la prestazione (articolo 10, comma 1, n. 21).

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