Controlli e liti

Accertamenti esecutivi, legittimazione autonoma dell’agenzia delle Entrate

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di Massimo Romeo

Gli accertamenti esecutivi si differenziano dai precedenti atti impo-sanzionatori non esecutivi, cui necessariamente seguiva il passaggio a ruolo e l’emissione della cartella, in quanto tutta la conseguente attività procedimentale è volta esclusivamente alla esecuzione forzata che resta esclusa dalla giurisdizione tributaria. Pertanto, nell’ipotesi in cui il contribuente impugni tali atti impoesattivi attraverso gli estratti di ruolo richiesti all’agente della riscossione, senza notificare all’ufficio emittente l’atto impoesattivo impugnato ovvero l’agenzia delle Entrate, unico soggetto legittimato ad causam e ad processum, il ricorso è inammissibile. Questo il principio che si ricava dalla sentenza 5093/01/2019 della Ctr Lombardia depositata il 16 dicembre 2019 (presidente e relatore Labruna).

Il caso
La fattispecie esaminata dai giudici concerneva l’impugnazione da parte di un contribuente con ricorso proposto unicamente nei confronti dell’agenzia delle Entrate-Riscossione di alcuni estratti di ruolo, direttamente acquisiti dal contribuente, contenenti sia cartelle di pagamento che atti impoesattivi (accertamenti esecutivi). Trascurando tutte le altre questioni affrontate (prescrizione, modalità di notifica delle cartelle) ci si sofferma su quella che la Ctr considera preliminare e relativa agli avvisi di accertamento esecutivi indicati nell’estratto di ruolo.

La sentenza
I giudici regionali, sul punto e quanto alla dichiarata inammissibilità del ricorso introduttivo, ritengono opportuno precisare che in base all’articolo 10 del Dlgs 546/1992 «sono parti del processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio dell’agenzia delle Entrate e … l’agente della riscossione … che hanno emesso l’atto impugnato». Per l’avviso d’accertamento esecutivo (in base al Dl 78/2010, convertito con modificazioni dalla legge 122/2010, atto impo-esattivo), il soggetto che emette l’atto è l’ufficio dell’agenzia delle Entrate, mentre per le cartelle esattoriali e gli altri atti esattivi (come le intimazioni di pagamento) tale soggetto è l’agente della riscossione; a differenza dei precedenti atti impo-sanzionatori non esecutivi, cui necessariamente seguiva il passaggio a ruolo e l’emissione della cartella, tutta la conseguente attività procedimentale è volta esclusivamente alla esecuzione forzata che resta esclusa dalla giurisdizione tributaria (ex articolo 2, comma 1, del Dlgs 546/1992). Pertanto, trattandosi, nel caso di specie, di un oggetto del giudizio cumulativo di più autonomi rapporti tributari, distinti in due tipologie: le cartelle esattoriali emesse dall’agente della riscossione sulla base del ruolo consegnato dall’ente impositore e gli atti impoesattivi emessi autonomamente dall’agenzia delle Entrate (la sola legittimata ad causam e ad processum ex articoli 10 e 11 del Dlgs 546/1992), la Ctr decide per l’inammissibilità dei ricorsi per la parte relativa all’impugnazione degli atti impoesattivi essendo stati depositati nella segreteria della commissione tributaria privi della notificazione all’ufficio emittente l’accertamento esecutivo impugnato.

Il contesto
La sentenza in commento afferma un principio, a parere di chi scrive, innovativo che interseca un tema dibattuto e noto agli operatori del settore e che ha necessitato l’intervento della Corte costituzionale al fine di fare chiarezza sul corretto riparto della giurisdizione fra giudice tributario e giudice ordinario in caso di opposizione agli atti esecutivi. In particolare, la sentenza della Consulta (114/2018), allo scopo di colmare il vulnus di tutela determinato dalle limitazioni dell’articolo 57 del Dpr 602/1973 con riferimento all’opposizione all’esecuzione e agli atti dell’esecuzione, ha di fatto delineato un quadro di riparto della giurisdizione con vis attrattiva verso quella ordinaria. In tale contesto andrebbe altresì tenuto presente, da un lato, lo scenario giurisprudenziale ante e post Consulta in cui si sono registrate diverse pronunce “antiformalistiche”, di merito e di legittimità, che hanno accordato la tutela del giudice tributario rispetto ad atti non ricompresi nell’elenco dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992 in virtù dell’interesse ad agire (ex articolo 100 del Codice di procedura civile), dall’altro, la ratio legislatoris che con il Dl 78/2010 ha chiaramente mirato ad erodere la fase della riscossione coattiva contraendo le sequenze procedimentali e riducendo gli atti necessari al recupero coattivo del credito (concentrazione della riscossione nell’accertamento). I giudici milanesi appaiono implicitamente considerare la evoluzione normativa e giurisprudenziale affermando un principio che tiene conto della tipizzazione nell’ordinamento tributario del “ nuovo” accertamento esecutivo.

Ctr Lombardia, sentenza 5093/01/2019

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