Acquirente protetto dai debiti della ditta inglobata anche senza certificato dei carichi
Protezione speciale per l’acquirente della ditta non in regola con i carichi tributari: la mancata richiesta del certificato, infatti, non espone il cessionario al debito e quindi non sbarra la strada alla possibilità di avvalersi dei limiti della responsabilità fiscale previsi dall’articolo 14 del Dlgs 472/97. A questa importante conclusione è giunta la Ctr della Toscana nella sentenza 919/10/2018 (presidente e relatore De Carlo, relatore ), in relazione alla responsabilità della società incorporante la ditta individuale, originaria debitrice dell’erario. La sentenza della Ctr ricalca la posizione più garantista a favore dell’acquirente espressa dalla Cassazione nella sentenza n. 17264 del 2017 e prende le distanze da un altro orientamento della Suprema corte più restrittivo nei confronti del cessionario (per tutte Cassazione n. 5979 del 2014). La Ctr, ricalcando la pronuncia di piazza Cavour, sostiene che la richiesta del certificatodei carichi tributari pendenti della ditta incorporata ha solo un «effetto liberatorio anticipato», dovendo comunque gli uffici finanziari limitare la responsabilità solidale del cessionario anche in caso di mancata richiesta.
La mancata richiesta del certificato dei carichi tributari pendenti della ditta ceduta, non preclude all’acquirente di valersi dei limiti della responsabilità fiscale previsti dall’articolo 14 del Dlgs 472 del 1997. Lo ha deciso la Ctr della Toscana con la sentenza 919/10/2018 (presidente e relatore De Carlo, relatore ), in relazione alla responsabilità della società incorporante la ditta individuale, originaria debitrice dell’erario. La decisione fa propria la posizione più garantista a favore dell’acquirente cessionario, espressa dalla Cassazione nella sentenza n. 17264 del 2017, ampiamente richiamata dai giudici della Ctr, a differenza di altre pronunce della stessa giurisprudenza di legittimità (per tutte Cassazione n. 5979 del 2014). La responsabilità dell’acquirente per i debiti tributari del cedente in seguito a cessione di azienda, è disciplinata dall’articolo 14 del Dlgs 472 del 1997. La norma è speciale, rispetto a quella dettata dall’articolo 2650 Codice civile che prevede la responsabilità dell’acquirente di azienda, solidalmente a quella dell’alienante, per i debiti che risultano dai libri contabili obbligatori.
La necessità di tutelare l’interesse dei creditori, infatti, non libera il cedente dai suoi debiti, ma ne rafforza la garanzia, prevedendo l’accollo da parte del cessionario. L’interesse di questi è tutelato dalla certezza e conoscibilità dei debiti, risultanti dai libri contabili. Più ampia è la disciplina tributaria. L’articolo 14 del Dlgs 472 del 1997, prevede due ipotesi di cessione: la prima, fisiologica, conseguente a un’ acquisizione commerciale legittima; la seconda (commi 4 e 5), finalizzata, invece, a frodare il fisco, per sottrarre la garanzia del patrimonio della società ceduta, a società nullatenenti o quasi. Ipotesi queste, nelle quali l’ articolo 14 esclude le limitazioni di responsabilità a favore dell’acquirente, previste, invece, quando la cessione di azienda avvenga nell’ambito dell’onesto dinamismo commerciale. Limitazioni che riguardano sia il profilo soggettivo (con l’obbligo della preventiva escussione del cedente cosiddetto beneficium excussionis), che quello quantitativo ( «entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo di azienda», articolo 14, comma 1), che quello temporale, essendo limitata la responsabilità al «pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore».
Il punto critico della normativa, oggetto di diverse interpretazioni giurisprudenziali, riguarda il valore da attribuire alla richiesta della certificazione dei carichi tributari pendenti (prevista dall’articolo 14, comma 3), che, se negativa o non rilasciata entro 40 giorni dalla richiesta, ha «pieno effetto liberatorio del cessionario». Poiché la responsabilità solidale a carico del cessionario riguarda non solo le violazioni accertate (contestate e irrogate) e quindi conoscibili dall’acquirente ma anche quelle “commesse” nel medesimo periodo e non ancora contestate, si è posto il problema della tutela della buona fede dell’acquirente, ai fini della valutazione della convenienza dell’acquisto, il quale si vedesse notificare successivamente allo stesso, atti di accertamento o irrogazione di sanzioni di cui non conosceva l’esistenza. Secondo parte della giurisprudenza, l’effetto liberatorio è conseguente al rilascio del certificato negativo degli uffici (in relazione all’«esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti»), e la richiesta rientra nell’onere di diligenza del cessionario che, se non assolto, lo espone al «rischio di rispondere per l’eventuale maggiore debito fiscale, anche se occultato dal cedente o non ancora accertato dall’amministrazione al tempo della cessione»(Cassazione n. 5979 del 2014 e 9219 del 2017).
Interpretazione dalla quale «esplicitamente dissente» la decisione di Cassazione n. 17264 del 2017, fatta propria dalla Ctr Toscana, che, al contrario, afferma che la richiesta ha solo un «effetto liberatorio anticipato», dovendo comunque gli uffici finanziari limitare la responsabilità solidale del cessionario anche in caso di mancata richiesta, a quanto statuito dal comma 2 dell’articolo 14, e cioè al «debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria», ed escludendo così brutte sorprese a carico del cessionario, una volta acquistata l’azienda.