Atti impugnabili, la bussola dei giudici
È possibile impugnare dinanzi al giudice tributario tutti gli atti che portano a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria ben individuata e non condizionata, ma occorre verificare che la controversia abbia natura tributaria. La Corte di cassazione ha formulato questi principi per individuare gli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, ma restano casi dubbi, come quello degli avvisi bonari.
Le indicazioni della Corte
La Corte ha ritenuto possibile impugnare anche gli atti - non espressamente indicati all’articolo 19 del Dlgs 546/92 ma in possesso delle caratteristiche citate - evidenziati nella grafica e quelli relativi a: canone Rai (Sezioni unite, sentenza 24010/2007); contributo unificato per le spese degli atti giudiziari (Sezioni unite, sent. 5994/2012 e 9840/2011); cancellazione o rifiuto di iscrizione all’Anagrafe delle Onlus (Sezioni unite, sent. 1625/2010); revoca dell’adesione stipulata dal contribuente (sent. 185/1999); avvisi di intimazione di pagamento dell’imposta sui concorsi pronostici e sulle scommesse (sent. 2616/2015); richiesta di pagamento dei contributi dei consorzi di bonifica (sent. 14373/2010); “determina” della Provincia per la riscossione dell’imposta sulle trascrizioni automobilistiche (sent. 7327/2014); rifiuto opposto alla richiesta di rettifica del codice tributo indicato nel modello F24 (sent. 8214/2014); diniego parziale di rimborso del credito (sent. 8195/2015); diniego tacito di esaminare l’istanza presentata per fruire del “bonus assunzioni” (sent. 13394/2016).
Non è peraltro sufficiente che un atto sia elencato nell’articolo 19 perché sia impugnabile nell’ambito della giurisdizione tributaria. Vengono, ad esempio, menzionati l’iscrizione di ipoteca sugli immobili e il fermo di beni mobili registrati ma è necessario che questi provvedimenti siano correlati all’iscrizione a ruolo di crediti di natura tributaria. Le Sezioni unite hanno affermato (sent. 14831/2008) che, se l’atto è relativo a crediti di natura fiscale e no, il giudice tributario deve trattenere innanzi a sé la parte di propria competenza e trasmettere al giudice competente la parte che non gli compete o l’intero giudizio. La Corte costituzionale ha dichiarato (ordinanza 269/2015) manifestamente inammissibile la questione di legittimità sollevata in materia, ma appare opportuno un intervento che attribuisca i contenziosi in esame a un’unica giurisdizione, per non rendere eccessivamente difficoltosa l’attività difensiva da parte del contribuente ed evitare possibili difformità di giudicati.
Impugnabilità facoltativa
Esistono, a parere della Suprema corte, anche alcuni atti “atipici” - non espressamente menzionati nell’articolo 19 - che non hanno una funzione analoga a quella degli atti “tipici” e per i quali l’impugnazione è facoltativa (sent. 9873/2011 e 12223/2010): si tratta, in particolare, degli atti che precedono quelli “impositivi”.
La Cassazione aveva in un primo tempo affermato la non impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/73 (“avvisi bonari”), trattandosi di semplici inviti a fornire dati ed elementi, che non manifestano una volontà impositiva che deve ancora perfezionarsi (Sezioni unite, sent. 16293 e 16428/2007). La conclusione era stata recepita dall’Agenzia nella risoluzione 110/E/2010 e nel comunicato stampa 67/2012. La Suprema corte ha, però, successivamente affermato la possibilità di impugnare tali atti, che esplicitano una pretesa ben determinata (cfr., da ultimo, le sentenze 3315/2016, 15029 e 15957/2015, 25297/2014).
L’orientamento più recente della Cassazione appare - oltre che in linea con i detti principi in tema di impugnazione degli atti - ormai consolidato e si ritiene opportuno che venga recepito dalla prassi amministrativa.
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