Attività connesse, così i benefici fiscali
Gli imprenditori agricoli che puntano ad ottenere valore aggiunto dalle produzioni agricole, guardano alle attività connesse. Le più recenti attività di trasformazione praticate riguardano la produzione di birra artigianale che viene frequentemente realizzata da imprese agricole produttrici di orzo ma ancora carenti sulla necessaria produzione del luppolo e della produzione della canapa nei limiti consentiti dalla legge n. 242 del 2 dicembre 2016 . Ancora si stanno avviando le coltivazioni e lo sfruttamento delle alghe anche con destinazione alla alimentazione umana.
L’articolo 2135 del Codice civile definisce «imprenditore agricolo» chi esercita le attività di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali nonché attività connesse, ovvero attività di manipolazione, trasformazione, valorizzazione, conservazione e commercializzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dallo svolgimento di una attività agricola «principale». In sostanza, le attività connesse sono attività strumentali e complementari che l’imprenditore agricolo esercita parallelamente e funzionalmente all’attività di produzione dei prodotti agricoli con lo scopo di ottenere un completamento dell’attività agricola principale per conseguire un maggior valore aggiunto. Tali attività, singolarmente potrebbero essere qualificate di natura commerciale o industriali, ma, se svolte in connessione con un’attività agricola, acquistano ex lege carattere agricolo.
Sul piano fiscale, l’articolo 32 del Dpr 917/1986 prevede, quale regime naturale per le imprese agricole individuali, società semplici ed enti non commerciali, la determinazione del reddito in base alle risultanze catastali e non, invece, in base ai dati di bilancio. Non tutte le attività agricole rientrano nel reddito agrario ma solo quelle previste dal citato articolo 32, ovvero le attività di coltivazione, allevamento, silvicoltura, funghicoltura e attività connesse di cui all’art. 2135 del Codice civile se riferite a beni ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali e con riferimento a beni individuati da un apposito decreto ministeriale (quello attualmente in vigore è il Dm 13 febbraio 2015).
La precisazione contenuta nella norma secondo cui i prodotti oggetto delle predette attività debbano provenire «prevalentemente» dallo svolgimento dell’attività agricola principale, non esclude che l’imprenditore agricolo possa svolgere le attività connesse utilizzando anche prodotti ottenuti da terzi purchè questi non siano utilizzati in misura superiore rispetto a quelli propri provenienti dal proprio fondo, bosco o allevamento.
Dunque, una attività connessa è ricompresa nel reddito agrario solo se ha ad oggetto i beni individuati dal citato decreto ministeriale e se i prodotti oggetto dell’attività provengono prevalentemente dalla attività agricola principale svolta. Se i prodotti sono ottenuti nell’ambito della attività agricole connesse, ma non sono compresi nell’elenco ministeriale, possono usufruire della determinazione del reddito su base forfetaria pari al 15% dei corrispettivi annotati ai fini Iva.
Come chiarito dalla circolare numero 44/E del 2004, rientrano nel reddito agrario le attività connesse di manipolazione e trasformazione realizzate utilizzando prodotti acquistati da terzi al fine di ottenere un aumento, anche solo quantitativo, della propria produzione (ad esempio, acquisto di uve da terzi da aggiungere alle proprie al fine di migliorare ed aumentare la produzione di vino) nonché quelle finalizzate all’ampliamento della gamma di beni offerti dall’impresa agricola nell’ambito delle medesima categoria merceologica (ad esempio, produzione di marmellata con fragole proprie e acquisto di ciliegie da terzi per produrre marmellata di ciliegie). Nelle ipotesi prima descritte, devono però verificarsi due requisiti: il primo è che comunque i prodotti acquistati presso terzi non devono essere prevalenti rispetto ai propri; il secondo è che deve sempre esserci una trasformazione o manipolazione affinchè il reddito possa rientrare nella tassazione catastale. Infatti, la stessa circolare precisa che le attività di mera conservazione, commercializzazione o valorizzazione non possono dare luogo ad attività connesse a meno che non abbiano ad oggetto prodotti propri. Se i prodotti utilizzati per le attività connesse non sono prevalentemente ottenuti dall’attività agricola principale del produttore, il reddito dell’attività connessa è considerato reddito d’impresa, limitatamente alla parte eccedente e quindi determinato in base alla contrapposizione di costi e ricavi ai sensi dell’articolo 55 e seguenti del Tuir. In sostanza se l’impresa agricola produce 100 ed acquista 150 rientra nel reddito agrario per 199 e nel reddito di impresa per 51. Tale criterio si applica per le imprese agricole individuali e società semplici, mentre invece le altre società agricole svolgendo in parte «attività commerciale», perdono la qualifica di società agricole (devono rispettare l’esercizio esclusivo di attività agricole) e quindi tassano tutto a bilancio.
La tassazione catastale è riservata ai prodotti trasformati contenuti nel Dm 13 febbraio 2015 (la birra è compresa); tale provvedimento viene emanato ogni due anni e quindi in prossimità del suo aggiornamento si auspica che consideri i prodotti agricoli trasformati di nuova generazione.