Bonus sponsorizzazioni, le plusvalenze da cessioni di sportivi non entrano nel limite dei ricavi
La società destinataria dell’investimento non deve aver superato il tetto massimo di 15 milioni di euro di ricavi nel 2019
Fra le attestazioni da produrre nel modulo di richiesta del credito d’imposta del 50% per le sponsorizzazioni, vi è anche quella secondo cui la società sportiva destinataria dell’investimento non deve aver superato il limite massimo di 15 milioni di euro di ricavi nel corso del 2019.
Si tratta del modulo da spedire entro il 1° aprile 2021 a cura del soggetto erogante lo sponsor, che dovrà allegare alla domanda per il beneficio, unitamente ad altri documenti, anche la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà a firma della società sportiva dove quest’ultima dichiara di aver conseguito, sul territorio italiano, ricavi caratteristici ex articolo 85, comma 1, lettera a) e b) del Tuir compresi tra 150mila e 15 milioni di euro. Sul punto si registra, da sempre, una certa difficoltà per le società sportive nel rendere confrontabili i ricavi di cui al conto economico con quelli individuati dal Testo unico delle imposte sui redditi ed in particolare con quelli di cui all’articolo 85 lettere a) e b); difficoltà che ora va superata al fine di poter validamente rilasciare la dichiarazione di sussistenza dei requisiti di cui sopra da parte delle stesse società sportive.
I punti aperti riguardano in primo luogo la corretta identificazione del perimetro attribuibile alle plusvalenze da cessione dei diritti degli sportivi.
Se non c’è nessun dubbio sul fatto che nel Tuir esse siano disciplinate dall’articolo 86 (con tanto di codifica ad hoc per le società sportive professionistiche), qualche dubbio potrebbe porsi circa il corretto inquadramento riferibile al provento derivante della vendita di un atleta il cui diritto non è stato iscritto nelle immobilizzazioni immateriali della società (si pensi al caso della vendita di uno sportivo che arriva ad essere professionista dal settore giovanile, oppure la cessione di un giocatore acquisito a zero perché svincolato).
Tale ricavo è da considerarsi «corrispettivo» di cui all’articolo 85, comma 1, lettera a) oppure va inteso sempre come una plusvalenza ex articolo 86 del Tuir? Sul punto pur mancando un pronunciamento interpretativo ufficiale in ambito sportivo è da ritenersi che pure il provento in questione sia da considerarsi fiscalmente una plusvalenza.
Nella fattispecie si tratta di una plusvalenza di un bene immateriale il cui valore contabile netto è zero: a sostegno di questa tesi va citata la risposta a interpello 19/2020 che permette la rateizzazione ex articolo 86 Tuir anche al provento di vendita di un marchio non presente fra i beni immateriali. In altre parole la modalità di acquisizione (a titolo oneroso o gratuito) non fa mai cambiare natura alla tipologia del provento.
Un altro tema spinoso riguarda prettamente il mondo del calcio circa i proventi derivanti dalla ripartizione dei diritti tv. In sintesi, la legge Melandri (articolo 22 del Dlgs 9/2008) ha previsto che una parte dei ricavi per diritti tv della serie A (10%) vada alle serie inferiori per sostenere determinati fini espressi nell’articolo 22 e il tutto per il tramite di un regolamento Figc che ha il compito di gestire tali fondi.
Da qualche anno la mutualità di tali proventi è legata a specifici aspetti che le società devono rispettare (ad esempio, impiego di giovani calciatori italiani) al fine di maturare il diritto a ricevere il contributo. Anche qui, nonostante la presenza di questi vincoli non vi dovrebbero essere dubbi sull’esatta qualificazione dei proventi in questione. Gli importi non sono qualificabili come ricavi (ex articolo 85 comma 1 lettera a), ma bensì sempre quali contributi in denaro, inquadrabili nel Tuir ai sensi dell’articolo 85, comma 1, lettera h.