Branch exemption, i potenziali benefici nascondono delle insidie
La scelta per la branch exemption disciplinata dall’articolo 168-ter del Tuir e dal provvedimento delle Entrate del 28 agosto scorso va valutata con estrema prudenza ed attenzione. I potenziali benefici che si possono trarre dal regime di non imponibilità italiana del reddito della stabile organizzazione potrebbero infatti essere più che compensati da oneri diretti e indiretti di tale meccanismo, considerato che l’opzione è di fatto temporalmente illimitata e cessa solo con la chiusura della branch.
L’articolo 168-ter del Tuir, introdotto dal decreto internazionalizzazione n. 147 del 2015, ha opportunamente previsto, per le imprese italiane con stabili organizzazioni estere, la possibilità di optare per il regime di esenzione degli utili e delle perdite della branch con effetto dall’esercizio di apertura della stabile organizzazione o, per quelle già in essere, a partire dall’esercizio 2017.
Per comprendere adeguatamente il meccanismo della branch exemption, occorre rammentare che la stabile organizzazione è giuridicamente parte integrante della casamadre e pertanto, in linea generale, il risultato (utile o perdita che sia) realizzato all’estero (ove viene dichiarato ed assoggettato ad imposte sui redditi secondo le regole locali) concorre alla formazione dell’utile o della perdita civilistica della società italiana. In tal modo, la casamadre dichiara unitariamente al fisco italiano tutto il reddito realizzato nel mondo, compreso quello realizzato dalle stabili organizzazioni estere (apportandovi le conseguenti variazioni fiscali previste dal Tuir). Poiché il reddito della branch (che è compreso nell’utile complessivo del bilancio della casamadre) viene ordinariamente tassato anche all’estero, l’articolo 165 del Tuir attribuisce all’impresa italiana il foreign tax credit nei limiti dell’imposta italiana che grava su tale reddito.
Con la branch exemption, il reddito (o la perdita) della stabile organizzazione estera si “stacca” dal calcolo dell’imponibile italiano e dunque la casamadre, nella propria dichiarazione, effettua una variazione in diminuzione corrispondente all’utile (o una variazione in aumento pari alla perdita) fiscale della branch che ha concorso (attraverso il risultato di bilancio che come detto incorpora anche quello della filiale estera) alla formazione del reddito complessivo. In questo modo, cioè, l’utile della stabile viene tassato esclusivamente all’estero come avverrebbe se l’impresa operasse oltrefrontiera non già con una branch, ma con una società (legal entity estera).
Il beneficio che dunque si trae dal regime deriva dalla possibilità di ottenere una tassazione inferiore laddove il tax rate estero sia più contenuto di quello italiano e la branch produca utili significativi. A fronte di questo vantaggio, il sistema presenta diverse criticità che vanno attentamente valutate. In primo luogo le complessità amministrative: si impone un calcolo puntuale, secondo le regole Ocse, del reddito della branch al fine di poter escludere dalla tassazione italiana tutto e solo il corretto imponibile prodotto all’estero. Nel calcolo, poi, occorre rispettare le regole sul transfer pricing (con la possibile documentazione per la penalty exemption), regole che, invece, laddove il reddito estero entri direttamente nell’utile italiano, finiscono per non essere così rilevanti. Regole stringenti sono poi previste in caso di cessazione o trasferimento della branch.
L’opzione, per ovvi motivi di tutela fiscale, deve essere esercitata per tutte le stabili organizzazioni, il che potrebbe limitare la convenienza del regime in presenza di branch che generano perdite, le quali, senza esenzione, ridurrebbero automaticamente l’imponibile italiano.
Occorre poi considerare che l’opzione ha una durata temporalmente illimitata: una volta entrati nel regime non si può più uscire fino a che la stabile organizzazione non cessa.
Tanti vincoli e complessità che, seppure giustificati dalla necessità di evitare indebite erosioni di imposta sui redditi prodotti all’estero, richiedono, come detto, una attenta e prudente analisi prima di optare per l’esenzione. Analisi che comunque le imprese avranno tempo di effettuare fino a settembre del prossimo anno quando scadrà il termine per optare per le branch costituite nel 2017 e per quelle già in essere in precedenza.