I temi di NT+Modulo 24

«Business warranties» autonome dal preliminare d’acquisto di quote sociali

Per il tribunale di Milano la loro violazione non configura un’ipotesi di inadempimento da parte del venditore, e quindi non permette la risoluzione del contratto ma riconosce il diritto all’indennità

di Leo De Rosa e Alberto Russo

Con la sentenza 5765/2020 del 29 settembre 2020, il Tribunale di Milano ha esaminato una questione di grande rilievo pratico e, al contempo, di notevole interesse sistematico nel più ampio quadro dei principi che delineano la struttura giuridica del sale and purchase agreement.

Nell’ambito delle operazioni di compravendita di partecipazioni sociali e dell’assetto contrattuale che le regola, assume rilievo centrale la tutela dell’acquirente, soprattutto per l’ipotesi in cui – dopo l’esecuzione del contratto – la consistenza del patrimonio sociale della società target si rivelasse inferiore a quella che gli era stata rappresentata dal venditore durante la fase delle negoziazioni.

L’oggetto del sale and purchase agreement è rappresentato, da un lato, dalla pluralità di situazioni soggettive che riguardano la posizione di socio della società le cui partecipazioni sono compravendute e, dall’altro lato, indirettamente, dalla quota di patrimonio sociale cui quelle partecipazioni si riferiscono. Avendo riguardo alla complessità del bene oggetto del contratto in questione, si rivela dirimente individuare gli strumenti di tutela più idonei a garantire l’acquirente dal verificarsi di sopravvenienze e, allo stesso tempo, assicurare la stabilità dell’operazione.

Il tema concerne, in particolare, la possibilità per l’acquirente di partecipazioni societarie di esperire i tradizionali rimedi civilistici e, nella specie, quello risolutorio, nell’ipotesi di violazione delle dichiarazioni e garanzie rese dalla parte venditrice con riguardo al patrimonio della società compravenduta (c.d. business warranties) e alla sua gestione nell’eventuale periodo interinale tra il signing e il closing.

Tali business warranties hanno la funzione di fornire alla parte acquirente idonee garanzie circa:
● la veridicità dei dati recepiti nel bilancio (o nella situazione patrimoniale);
● l’effettiva esistenza di poste attive;
● il corretto adempimento degli obblighi tributari, fiscali o previdenziali;
● l’esistenza o l’assenza di contestazioni o azioni giudiziarie nei confronti della società, e, più in generale, su qualunque circostanza che possa avere riflessi sulla effettiva consistenza patrimoniale della società target.

Sul punto, alla convinzione iniziale che tali garanzie rilasciate dal venditore – e sussunte nel testo del sale and purchase agreement – riguardassero qualità promesse delle partecipazioni alienate, si è contrapposto, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, un secondo orientamento secondo cui tali garanzie costituirebbero patti autonomi che accollano all’obbligato semplicemente il rischio che una certa situazione non si verifichi.

Giova premettere la non pacificità della questione, oltremodo dibattuta nella giurisprudenza di legittimità, che in una sentenza di poco precedente a quella in commento – aderendo ad un filone giurisprudenziale minoritario - aveva statuito che «la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società, quindi sul valore delle azioni o delle quote, può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contratto ex articolo 1497 del Codice civile, ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti, l’esperimento di un’ordinaria azione di risoluzione ex articolo 1453, Codice civile, svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’articolo 1495, Codice civile» (si veda Cassazione 22790/2019).

Il Tribunale di Milano è tornato sull’argomento con la sentenza in commento e ha sottoposto a una meditata critica il sopracitato orientamento, ribadendo – in ossequio a un noto precedente di legittimità (reiterato in parte anche da una recente pronuncia della Cassazione, sentenza 23 giugno 2021, n. 17977) – che «nel contratto di acquisto di compartecipazioni societarie, qualora il giudice di merito abbia accertato che al negozio siano stati collegati dei patti autonomi di garanzia aventi ad oggetto le passività del patrimonio sociale, c.d. business warranties, che non attengono però all’oggetto immediato del negozio, consistente nell’acquisizione della partecipazione sociale, bensì al suo oggetto mediato, rappresentato dalla quota parte del patrimonio sociale che essa rappresenta, tali contratti costituiscono un’autonoma regolamentazione della garanzia e, in caso di inadempimento, deve riconoscersi all’acquirente il diritto a conseguire un indennizzo, e non la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di acquisto delle azioni a causa del difetto di qualità della cosa venduta, secondo la disciplina di cui agli articoli 1495 e 1497, Codice civile» (si veda Cassazione, 7183/2019).

Tale differenza, come si vedrà, assume rilevanza cruciale nella prospettiva dell’individuazione dei rimedi esperibili dall’acquirente per il caso di violazione delle dichiarazione e garanzia, in quanto solo laddove si possa effettivamente ravvisare un’ipotesi di inadempimento contrattuale egli potrà attivare tutti gli strumenti (risolutori, rescissori, risarcitori, eccetera) previsti dalle norme civilistiche. In caso contrario, l’unica tutela che potrà far vale il compratore nei confronti dell’alienante sarà invece il diritto all’indennizzo nella misura prevista dallo Spa.

La decisione del Tribunale di Milano

La fattispecie concreta da cui scaturisce la decisione in commento è riassumibile nei termini seguenti.

Due soci alienavano una quota complessivamente pari al 49% del capitale sociale di una società a responsabilità limitata. Le parti sottoscrivevano un contratto preliminare, il quale prevedeva il rilascio di dichiarazioni e garanzie da parte dei promittenti venditori sulla situazione patrimoniale ed economica della società. Accanto a tale previsione veniva previsto il pagamento di un indennizzo a carico dell’alienante in caso di violazione delle dichiarazioni e garanzie rilasciate. Tali pattuizioni venivano riportate anche nel contratto definitivo, donde parte attrice ne postulava l’ultrattività (cosiddetta clausola bring down).

Il prezzo veniva stabilito in un importo fisso ed immutabile (locked box), calcolato sulla base di una situazione patrimoniale di riferimento anteriore alla sottoscrizione del contratto preliminare, ma sul presupposto che le dichiarazioni e garanzie (representations & warranties) rilasciate dai venditori fossero corrispondenti al vero. L’indennizzo veniva calcolato ragguagliando proporzionalmente l’ammontare della sopravvenienza passiva o della minusvalenza alla percentuale della partecipazione oggetto di cessione.

Tuttavia, poco tempo dopo la stipula del contratto definitivo, veniva accertato, in capo alla società target, uno stato di insolvenza avente origini anteriori all’acquisizione e la stessa veniva, pertanto, dichiarata fallita.

L’acquirente vedeva così totalmente disattese le proprie aspettative economiche connesse all’operazione e decideva di convenire in giudizio i venditori, articolando una serie di domande nei loro confronti e azionando gli strumenti di tutela contrattuale previsti dal diritto comune dei contratti.

In primis, infatti, la parte acquirente domandava la risoluzione del contratto, sulla base dell’addebito ai convenuti di un “grave inadempimento” che l’attrice stessa identificava nella violazione delle clausole di dichiarazioni e garanzie rese nello Spa (contratto preliminare) e richiamate espressamente dal contratto definitivo.

Al riguardo, il Tribunale di Milano, prendendo le mosse dal principio, prevalente in giurisprudenza, secondo cui la cessione delle partecipazioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta, ha statuito che «le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale - e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione - possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’articolo 1497 del Codice civile, la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta, solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.” (richiamando tra le tante: Cassazione 16963/2014; Cassazione 16031/2007; Cassazione 2669072006; Cassazione 5773/1996).

Il Tribunale ritiene pertanto indiscutibile, sul piano giuridico, l’alterità oggettiva tra la partecipazione sociale oggetto del contratto (l’ “oggetto immediato” della compravendita) ed il patrimonio della società (l’ “oggetto mediato” della compravendita), che appartiene ad altro soggetto giuridico e sul quale il socio non vanta diritti – sorgendo i suoi diritti, non solo amministrativi, ma anche patrimoniali rispetto alla società come soggetto giuridico a sé.

Facendo applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati si può sostenere che, benché il trasferimento di partecipazioni sociali sia uno strumento attraverso il quale l’acquirente ottiene indirettamente la disponibilità dei beni sociali, dal punto di vista giuridico, con l’acquisto delle azioni o quote egli non acquista direttamente il patrimonio sociale, che continua ad appartenere invece alla società target le cui partecipazioni sono oggetto di compravendita, bensì solo quel fascio di posizioni giuridiche che fanno capo al socio.

Il patrimonio sociale, dunque, nonostante rivesta un ruolo centrale nell’economia dell’affare e sia un fattore determinante del prezzo, attiene meramente alla sfera delle valutazioni di convenienza economica e non, invece, ai diritti amministrativi e patrimoniali che la partecipazione esprime. Solo con riferimento ad un vizio di questi ultimi, infatti, potrebbe trovare applicazione il rimedio civilistico della risoluzione del contratto per inadempimento della parte venditrice.

Pertanto, eventuali passività patrimoniali della società target rilevano solo e nei limiti in cui la consistenza patrimoniale della società sia stata pattiziamente garantita dal venditore attraverso le note Representations & Warranties , originando in capo all’alienante solo una obbligazione di natura indennitaria nei confronti della parte lesa (salvo che si preveda nello Spa – per la verità, molto di rado – un diritto di recesso in favore dell’acquirente ove determinate – e solitamente significative – dichiarazioni rese dal venditore si rivelassero non corrispondenti al vero).

La dicotomia tra oggetto mediato e immediato dello Spa ha determinato la creazione di due distinte categorie di garanzie che vengono di seguito brevemente descritte.
La prima è quella che attiene direttamente alla partecipazione ceduta (legal warranties), con cui il venditore garantisce, inter alia, che la partecipazione è di sua proprietà, che ne può disporre in quanto liberamente trasferibile ovvero in quanto i limiti statutari alla sua circolazione sono stati in qualche misura gestiti o rinunciati dagli aventi diritto, che non sussistono vincoli sulla stessa e che presenta determinate caratteristiche.

La seconda include le Warranties relative alla consistenza quantitativa e qualitativa del patrimonio sociale, nonché (talvolta) alle prospettive reddituali della società (business warranties). Queste ultime rivestono una posizione di rilievo nel contesto degli Spa e sono volte in particolar modo a tutelare l’acquirente da eventuali differenze negative, derivanti da minusvalenze o sopravvenienze passive rispetto alla situazione patrimoniale di riferimento.

Con riguardo alle business warranties, come sopra già anticipato, la giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto di qualificarle come patti autonomi, seppur accessori rispetto alla compravendita del pacchetto azionario, escludendo – in caso di loro non corrispondenza al vero – l’azionabilità del rimedio legale della risoluzione del contratto.

Il venditore che garantisce, dunque, risponde per il caso in cui la circostanza dichiarata non si riveli corrispondente al vero, impegnandosi a tenere indenne il compratore dalle relative sopravvenienze negative.

Inoltre, alla luce dell’orientamento costante che, come detto, individua nel patrimonio sociale solamente l’oggetto mediato della compravendita, i difetti relativi a quest’ultimo saranno irrilevanti anche ai fini dell’applicabilità delle garanzie della vendita di cui agli articoli 1490 e seguenti del Codice civile.

In questa prospettiva, le garanzie non potrebbero qualificarsi come “obbligazioni in senso tecnico”, la cui inesattezza possa dare luogo all’inadempimento di colui che le rilascia, ma andrebbero ricondotte piuttosto alla promessa del fatto del terzo di cui all’articolo 1381 del Codice civile, ossia ad obbligazioni come quelle assunte dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato.

La natura assicurativa delle garanzie convenzionali in discorso esclude, pertanto, ogni possibilità per il compratore di pretendere l’adempimento dell’obbligo della controparte di evitare la realizzazione del rischio assicurato. Anche se, indipendentemente dalla logica con cui si intenda concepire le Representations & Warranties, sarebbe comunque difficile configurare concretamente un’azione di esatto adempimento per la violazione delle clausole di garanzia.

Conclusioni

Riepilogando in breve quanto illustrato nei paragrafi che precedono, si può concludere che l’individuazione dell’oggetto dello Spa sia di assoluta rilevanza per quanto riguarda la disciplina applicabile alle clausole di garanzia, e alle business warranties in particolare, in quanto esse non riguardano direttamente le partecipazioni, bensì il patrimonio sociale. Tale circostanza ha assunto – nel filone giurisprudenziale e dottrinale formatosi sul punto - un significato dirimente al fine di stabilire, nella prospettiva rimediale, se la difformità delle Representations and Warranties rispetto alla situazione reale della società possa configurare un’ipotesi di inadempimento del contratto.

La recente pronuncia del Tribunale di Milano, ponendosi nel solco dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ha chiarito che, essendo le business warranties patti autonomi rispetto allo Spa, la loro violazione non sarebbe idonea a configurare un’ipotesi di inadempimento da parte del venditore e lascerebbe quale unico rimedio a tutela dell’acquirente proprio la clausola indennitaria, con esclusione del rimedio risolutorio (oltre che degli altri rimedi civilistici) per il buyer.


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